Autore testo: Marco Occulto
Autori foto: Laura Pasqui e Daniele Gualdani
Il contesto storico
Estate 1943, l’Italia sta affrontando uno dei momenti più bui dalla sua nascita, nonostante i vari avvenimenti di grande interesse storico, le navi della Regia Marina continuano il loro ingrato compito. Il 10 luglio 1943 scatta l’operazione Husky gli alleati sbarcano in Sicilia dopo aver già conquistato le isole di Pantelleria e Lampedusa. Il 25 luglio Mussolini viene arrestato, al Duce succede il Maresciallo Badoglio come capo del governo, l’intero paese è allo sbaraglio, le forze armate continuano la loro guerra affianco dell’alleato tedesco, sapendo comunque che la guerra per l’Italia è persa, e che manca poco alla resa.
In questo contesto storico si consuma una delle tante tragedie della seconda guerra mondiale quella della corvetta C20 Gazzella di base alla Maddalena, costata la vita a 100 dei suoi uomini, che riposano ora nel golfo dell’Asinara a 3 miglia da Punta Tramontana (Castelsardo).
L’Affondamento
Il 05 agosto del 1943, la corvetta C20 Gazzella partita dalla Maddalena assieme alla corvetta gemella C42 Minerva diretta a Porto Torres per una missione di caccia anti sommergibile (compito principale di queste unità), al largo dell’isola dell’Asinara. Le corvette vengono autorizzate dal Comando Marina a rientrare alla Maddalena, l’appuntamento con il destino e alle 05:08 del mattino del 06 agosto. Il Gazzella incappa in una mina di un nostro sbarramento, l’unita si spezza in due ed affonda in meno di un minuto. Al comando della corvetta in quel momento vi era il comandante in seconda dell’unità, che secondo le testimonianze del comandante Arrigo Montini classe 1912, intervistato dagli alti comandi della Marina Militare nel 2002, e dal Mondo Sommerso Explorer Team nel 2005, ha dichiarato che il comandante in seconda è finito con la nave sullo sbarramento posato qualche giorno prima dai posamine Pommern e Branderburg, perché era volontariamente voluto uscire dalle rotte sicure imposte dal comando Marina della Maddalena, condannando cosi l’unità a morte certa. Nella sua testimonianza il comandante Montini dichiara che prima di ritirarsi nella sala nautica tenne un briefing in plancia (con il secondo, alla presenza dell’ufficiale di rotta GM Riccioti e il direttore del tiro) dove sottolineo al comandante in seconda la necessità di seguire le rotte di sicurezza, sicuramente più scomode rispetto al tagliare il golfo e dirigere direttamente verso La Maddalena.
Cosa affondò il Gazzella
La corvetta C20 Gazzella, la mattina del 06 agosto del1943 fini sicuramente su una mina o di tipo italiana P200 o di tipo tedesco GO, dagli archivi si sa che posizionarono i primi di agosto un nuovo sbarramento di mine i posamine Pommern e Brandeburg, entrambi posamine tedeschi, i quali nell’estate del 1943 visto l’andamento della guerra, e le vicende dello sventurato alleato decisero di minare con nuovi sbarramenti tutte le spiagge e i tratti di mare che gli alleati potevano usare per invadere il territorio italiano. Non fu mai specificato che tipo di mine furono posizionate, e in quale posizione esatta. È confermato che in quei giorni le informazioni passate dai tedeschi agli italiani, erano poche e confuse, visto che consideravano l’alleato ormai ex.
Le mine ad ormeggio rappresentavano la stragrande maggioranza e la profondità di quest’arma era configurata in base all’obbiettivo; una mina antisommergibile era normalmente regolata per una profondità di 8 o 9 metri mentre una mina antinave era regolata per 3 o 4 metri dalla superficie del mare. La limitata marea presente nel Mediterraneo facilitava l’installazione degli ordigni. Le mine arano alla mercede delle intemperie e le rotture più comuni erano causate dalla spezzatura del cavo d’ormeggio. Mine alla deriva potevano galleggiare per più di un anno fino a che la vegetazione subacquea non ne causava l’affondamento, o finche non incontravano sul loro camino una povera vittima.
La P200 mina italiana ad ancoraggio automatico, con accensione elettrica e carica da 200 kg d’esplosivo, durante la seconda guerra mondiale rappresentava una testa di serie dell’ingegno italiano, introdotta nel 1936, rappresentava una temutissima minaccia, peccato che quasi subito la Regia Marina si rese conto che le nostre mine non bastavano, allora bisognava integrare con mine tedesche.
Per la posatura delle mine, la Marina utilizzò varie unità tra i quali traghetti, posamine, sottomarini ed incrociatori. Quasi tutte le unità erano equipaggiate con rotaie, dette ferroguide, che permettevano lo scorrimento della mina su rotelline così facilitando il movimento dell’arma verso la poppa, da cui erano generalmente posate. Con l’introduzione delle mine tedesche, le ferroguide italiane dovettero essere modificate a causa dello scartamento diverso. Pare che i tedeschi richiesero la saldatura delle ferroguide, che normalmente erano rimovibili, così da ridurre la possibilità di deragliamenti, detti inceppamenti. Naturalmente, una volta saldate, le ferroguide non potevano più accettare mine Italiane.
Tutte le mine erano marcate con un numero di serie che permetteva una facile identificazione. Mine trovate alla deriva erano prima identificate e poi distrutte. Usando il numero di serie, le autorità navali potevano identificare l’origine dell’arma ed eventualmente riparare il campo minato. Le mine sono armi non discriminatorie che possono colpire sia gli alleati che i nemici; i campi minati italiani erano di norma ben documentati e, soprattutto all’inizio del conflitto, adeguatamente pubblicizzati.
I successi raggiunti sia dai campi minati offensivi sia da quelli difensivi dovrebbero essere considerati adeguati. Di rilevanza è il numero di sottomarini inglesi affondati dai campi minati Italiani, ed inoltre non va dimenticato che la famosa forza H di base a Malta fu quasi completamente distrutta da un campo minato italiano.
Il ritrovamento
Avviene grazie alle ricerche da parte del Batrokos diving di Castelsardo, che sono stati i primi ad immergersi sul relitto.
Nel 2002 la segnalazione da parte dei responsabili del diving porta all’intervento della Marina Militare, che dopo un sopraluogo iniziale tornerà nel 2004 per una vera e propria operazione di bonifica del relitto dalla maggior parte degli ordigni presenti.
Le immersioni
Settembre 2002 i responsabili del Batrokos diving si presentano al reparto alla Maddalena, descrivono abbastanza bene la nave, la sua condizione, i punti d’accesso all’interno del relitto, e il suo orientamento, ma non torna il conto delle Bas, ne hanno contatto qualcuna in meno, ma poco male. Qualche settimana dopo siamo a Castelsardo, il tempo non e a nostro favore (dovrò aspettare un altro mese prima di vedere il Gazzella), ne approfittiamo per andare a Nuchis a far visita a il sopravissuto del Gazzella Clemente Lutzu, che nel 1943 era uno dei segnalatori, scampato al naufragio grazie al permesso datogli direttamente dal primo, che aveva scavalcato il secondo, descritto da Lutzu come una persona severa e rigorosamente attaccato al senso del dovere.
La mia prima immersione, risale all’ottobre del 2002, dopo il sopraluogo presso il Batrakos Diving con il Nucleo Sdai di La Maddalena, appena trasferito in Sardegna, dopo numerose immersioni sui relitti della liguria, non ho nessuna intenzione di perdere altro tempo in una settimana di licenza scatta subito la telefonata alle 22:00 di sera al mio amico Mario, la voglia di andare subito a vedere quel relitto di qui avevo letto tanto, sapevo che in quella zona era scomparsa una corvetta della marina, durante la seconda guerra mondiale, ma non c’era mai stata l’occasione per organizzare un’immersione, gli impegni di bordo mi tenevano sempre fuori casa. Ma ormai il relitto era alla mia portata ogni fine settimana.
Siamo fuori in mare il giorno dopo, abbiamo a seguito 2 bibombola caricati con aria e sul gommone un bombolone d’ossigeno con arghile per la decompressione, arrivati in zona si inizia a scandagliare dopo poco tempo ecco un chiaro segnale che il relitto e là ! sotto di noi. e via giù a controllare se siamo esattamente sul punto, durante la discesa non vedo niente solo un bellissimo blu intenso in meno dei 2 minuti sono a 58 m sul fango, sicuramente abbiamo scarrocciato qualcosa nel tempo perso per lanciare il nostro pedagno mobile; pazienza il relitto e la, dal pedagno rilasciato stendo circa 30 m di cima dal reel ed inizio a descrivere un cerchio, dopo poco più di 5 minuti incontro quelli che potrebbero essere dei resti di un relitto sulla mia destra, decido in un secondo di seguirli ed ecco che i resti sparsi aumentano, quando all’improvviso di fronte a me intravedo una grossa macchia scura, la raggiungo, e la murata del relitto risalgo a quota 48 m sono in coperta mi accolgono le mitragliatrici binate da 20 mm puntate verso il cielo dirigo verso la mia destra, ed incontro un tubo lanciasiluri con il siluro 450 WH al suo interno, arrivo a poppa la nave e carica zeppa di Bas (bombe anti sommergibile), spettacolo mi rendo conto ora che ho percorso il lato sinistro della nave da centro nave a poppa. Ormai il tempo e quasi scaduto sono trascorsi 20 minuti inizio a risalire,ma nel fra tempo do volta ad un capo del sagolino della manichetta da corallaro in coperta sulla parte alta dello scaricatore delle Bas, e lancio il pallone che scorre veloce verso la superficie, siamo al 21 minuto per oggi basta cosi siamo a 90 bar nel bibo.
A 30 m mi aspetta la prima tappa di 1 minuto, e cosi via di 3 in 3, ai 18 m mi arriva incontro, mio fratello faccio un cambio di bombola e proseguo la deco un pò più tranquillo, 200 bar sono meglio di 70. ai 6 metri trovo l’arghile dell’ossigeno pronto, e via agli ultimi 20 minuti di deco che io interrompo con un solo brekair a 10 minuti. In quei minuti il pensiero va verso la superficie, non vedo l’ora di comunicargli cosa ho visto, in che stato si trova il relitto, se c’è vita, e via dicendo, faccio gesti e segnali ma non sono sufficienti a descrivere le sensazioni provate in quei pochi 20 minuti da solo a poco più di 50 metri di profondità. Il timer indica 74 minuti totali e finta la lunga deco di 54 minuti, per ulteriore garanzia faccio un ulteriore stop a 3 metri, finalmente a 77 in totale sono fuori, ora posso raccontare quella fantastica immersione in solitario.
Le immersioni sul Gazzella si susseguono con costanza almeno mensilmente, ma non ci si accompagna nessuno. Gennaio 2004 con mio fratello apriamo I Sette Mari associazione sportiva che ha tra gli obiettivi principali: formazione, educazione, esplorazione. Si decide con il tempo di iniziare ad accompagnarci i primi sub.
Nel mese di maggio del 2004, bonifichiamo il relitto con la Marina Militare, partecipano i reparti di La Maddalena, Cagliari, e Nave Anteo, si effettuano numerosissime immersioni per più di 20 giorni, compresa una saturazione di ben 10 gironi consecutivi. Al termine dei lavori sono state distrutte 42 Bas e 2 siluri 450 WH, il tutto preservando il relitto permettendo cosi ai futuri subacquei tecnici di poter andare a godere delle bellezza di uno dei più belli relitti del mediterraneo. Restano le Bas all’interno dello scarica Bas di poppa, circa una ventina, incastrattissime, e purtroppo per estrarle bisognerà aprire lo scarica bombe, rovinando l’aspetto caratteristico delle corvette italiane della seconda guerra mondiale. Alcuni articoli anche recenti, dichiarano il relitto armato con i siluri, purtroppo per loro prima di scrivere avrebbero dovuto consultare la Marina Militare, infatti all’interno dei tubi lancia siluri è presente solo il corpo dei siluri mentre la testa in guerra per un totale di quasi “270” kg di TNT sono state fatte brillare durante la bonifica eseguita dalla Marina Militare nel 2004 (dove appunto la Marina ha fatto di tutto per preservare l’estetica del relitto, e non deturpare quella che attualmente rappresenta: la tomba dei nostri colleghi che più di sessantenni prima si trovarono travolti dagli eventi tragici della seconda guerra mondiale)
Estate 2009 degli amici mi contattano per effettuare alcune immersioni sul Gazzella, sono Laura Pasqui e Daniele Gualdani, Tech 2 Gue, che realizzeranno qualche scatto sul relitto. Daniele e Laura si immergono sul relitto il 18, 19, 20, agosto con tempi di fondo di 45 minuti circa ed un run time di 110 – 120. Laura e la fotografa del team, ci si concentrerà sul relitto una zona alla volta, mentre l’ultimo giorno si farà un giretto all’esterno del relitto. La visibilità e quasi sempre buona, ma non ottima, nonostante ciò Laura realizza delle bellissime foto.
Tra le immersioni più belle c’è quella fatta il 31 luglio 2009. La sera del 30 terminato il corso Trimix diver 70 a Ben, appena rientrato a casa mi telefona un vecchio amico Max, non ci vediamo ormai da tempo, l’ultima immersione assieme in Sicilia sul Laura C, che mi informa che si trova di passaggio all’isola Rossa e se mi andava di accompagnarlo sul Gazzella, detto è fatto il giorno dopo alle 08:00 siamo a Sorso presso il Diving I Sette Mari che prepariamo le best mix per il fondo sui 15+15, un 18/45, preparati con la centralina a flusso continuo della LM.NT di Enzo Maldari, si caricano anche 2 7lt per allungare i tempi di fondo con il 18/45, mentre per la decompressione utilizzeremo un S80 per l’Ean 50 e un S40 per l’ossigeno puro, calcoliamo 40 – 45 di fondo con il V-Planner ed otteniamo un run time finale di circa 120 minuti.
Arrivati sul posto con il fido barcaiolo Mario, via subito il pedagno posizionato perfettamente sulla sabbia tra il troncone principale e la prora. Ora non resta che cambiarsi, dopo 10’ siamo in acqua io ritardo un’attimo in discesa, sto lottando con la videocamera, do un’occhiata verso il basso e dopo una iniziale sospensione a 35 m e visibile il relitto, si inizia ad visitare la prora, l’ancora ancora nell’occhio di cubia, il cannone da 100 mm perfettamente allineato con il dritto prora, sembrerebbe tutto apposto se non fosse per il fatto che un’esplosione violentissima, la staccata di netto dal resto della nave. Nuvole di saraghi maggiori, fasciati e pizzuti di taglia considerevole girano tutta attorno alla prora con preferenza sull’ammasso di rottami, che hanno dato vita a numerosissime tane, le aragoste fanno capolino praticamente da ogni bucco, nel paracolpi del 100 mm ci saluta una fantastica musdea, per niente preoccupata da noi continua indifferente ad esibirsi, dopo tutto ormai ci conosce da tanto tempo.
Ci spostiamo sul troncone principale, la zona d’impatto con la mina è evidente la detonazione non ha lasciato scampo a nessuno che in quel momento di oltre sessantenni prima stronco 100 vite. In questa parte del relitto, la violenza della guerra viene fuori in tutti i suoi drammatici aspetti, tutti gli alloggi sono praticamente saltati in aria, la plancia e collassata completamente sulla tuga, e riconoscibile infatti il fumaiolo, e una delle scalette interne tipica di una unità militare, ormai aperta ed unico punto di accesso all’interno del relitto, la penetrazione non è assolutamente appagante, e si presenta molto rischiosa, i particolari da notare sono numerosissimi: elmetti, documenti, scarponi, bottiglie, libri, e tant’altro.
Superata la zona della plancia si presenta uno spettacolo mozza fiato, sulla tuga bellissime con le canne puntate ancora verso il cielo le mitragliere binate da 20 mm, che servivano per il fuoco di sbarramento antiaereo, sia a dritta che a sinistra sono ancora in posizione i tubi lancia siluri, inclinati di circa 30° rispetto allo scafo, posizione che indica che la nave era ancora in caccia o comunque ai posti di combattimento, altrimenti com’era usanza delle navi della Regia Marina tutte le armi vengono riposte in posizione di navigazione di trasferimento, ovviamente ormai senza teste in guerra, fatte brillare nel 2004.
Dirigiamo a far visita alla zona delle cucine sul lato dritto del relitto, quello che si vede e sconvolgente e tutto a suo posto, resti umani che ogni volta portano ad una continua riflessione. A poppa incontriamo i lanciatori pneumatici delle Bas tutti ormai sprovvisti, lo scarica Bas poppiero è armato, ma grazie a Dio nessuno può metterci mano.
Si scende sulla poppa, e si visita il timone e le eliche perfettamente poggiate sul fondo sabbioso, abbiamo ancora qualche minuto si torna indietro verso il pedagno mobile, allo scattare del 45’ iniziamo a risalire, siamo vicini al pedagno ci guiderà verso la superficie, ci attendono 70’ abbondanti di decompressione. Dopo numerose immersioni sul Gazzella, ogni volta sembra sempre la prima, infatti il relitto non manca mai di regalarti qualche nuova emozione.
C20 Gazzella caratteristiche tecniche
Il Gazzella era una corvetta classe Gabbiano, compito principale la caccia ai sommergibili in gergo tecnico era una unita antisom.
La nave fu improntata il 20 gennaio 1942, varata il 9 maggio 1942, e consegnata alla Regia Marina il 6 aprile del 1943, e destinata alla squadriglia corvette di base alla Maddalena. Armata con cannone anti nave da 100/47 mm a prora, tre mitragliere da 20/70 singole nella zona prodiera, due mitragliere binate da 20/65 mm posizionate a centro nave sulla tuga, sempre in tuga una a dritta ed una sinistra troviamo i tubi lancia siluri armati con siluri da 450 costruiti da silurufici italiani.
I silurifici operanti in Italia nel 1940 erano tre:
• Silurificio Whitehead di Fiume, che era la più antica fabbrica di siluri del mondo essendo sorta nel 1860
• Silurificio Italiano di Baia-Napoli in attività dal 1915
• Silurificio Motofides sorto a Livorno nel 1937 come stabilimento ausiliario di quello di Fiume.
A bordo erano imbarcati ben otto lanciatori singoli di Bas (bomba anti sommergibile), e due scarica bombe Gatteschi.
Sviluppava circa 18 nodi di velocità spinta da due motori diesel Fiat M407 da 1750 HP
Nella sua breve carriera operativa percorse 8847 miglia in 930 ore di navigazione
Il luogo
Il Gazzella è situato a 3 miglia da Punta tramontana perfettamente in mezzo tra Castelsardo e Sorso, i luoghi sono molto diversi e caratteristici.
Castelsardo: borgo medioevale su un’alta collina con in cima un castello stupendo e fotogenico. Il borgo fu fondato dai Doria nel 1102 con il nome di Castelgenovese, mutato poi in Castelaragonese nel 1448, nel 1769 per volontà dei Savoia prese il nome di Castelsardo. Grazie alle spiagge della frazione di Lu Bagnu, al bellissimo borgo rappresenta una delle mete turistiche ambite della Sardegna.
Sorso: grazie all’apertura dell’ASD I Sette Mari, a portato negli ultimi anni il territorio ad rappresentare uno dei punti di riferimento per la subacquea nazionale.
Nel territorio di Sorso esistono moltissimi testimonianze di tipo archeologico e monumentale. Il periodo preistorico è documentato da diverse Domus de Janas, quello nuragico dai numerosi nuraghi. Come gran parte della Sardegna, Sorso ha avuto contatti con popolazioni del mediterraneo come i Cartaginesi, ma soprattutto con i Romani.
La regione in cui si trova Sorso e il vicino Sennori e denominata “Romangia”, l’origine del nome e facile terra romanizzata, abitata appunto dai romani, cosi per distinguerla dalla “barbaria o barbagia”. Testimonianze abbiamo la colonia romana Turris Lybissonis (odierna Porto Torres), in località Santa Filitica sul mare e al confine con Castelsardo vi sono i resti di una villa romana (II° DC) la cui rilevanza può essere colta dai mosaici esposti al palazzo Baronale, di grande interesse il relitto di una nave romana rinvenuto nelle acque di Maritza conferma l’importanza della regione.
La cittadina di Sorso secondo una nota leggenda sarebbe stata fondata nel V° secolo e il suo capostipite sarebbe un certo Gelidon (o Gelithon). Entro l’anno 1000 entro a far parte del giudicato di Torres.
Nei primi decenni del XV secolo gli aragonesi cedettero la concessione feudale alla famiglia Gonario Gambella, da qui Rosa Gambella assunse il potere sulla cittadina intorno al 400’, quest’ultima divento moglie del vice Re di Sardegna Ximen Perez. Dopo numerose denominazioni il periodo feudale terminò nel 1836. di grande interesse storico il palazzo Baronale di Sorso.
La Romangia sub regione dell’Anglona, della quale Sorso e il centro più grande. L’abitato è situato a 136 m sul livello del mare dal quale dista appena 3 km, godendo cosi di una rilevante collocazione paesaggistica sul golfo dell’Asinara.
È presente sul territorio una fascia di pineta e spiagge molto estesa dove sorgono numerosi insediamenti turistici. La costiera sorsense è lunga circa 18 km, in massima parte e spiaggia di sabbia finissima con acque poco profonde che degradano dolcemente rendendo cosi la balneazione sicura.
Tra le attività sportive più praticate il surf casting, le cavalcate, il kite surf, e ovviamente l’immersione subacquea, settore completamente gestito dall’ASD I Sette Mari che negli ultimi anni ha riscoperto numerosi punti d’immersione su tutto il territorio di Sorso, realizzando un vero e proprio sentiero subacqueo, con secche di interesse fotografico, con relitti di grande valore storico, zone d’interesse archeologico, località per lo snorkeling, e secche profonde per i sub più esperti. Risale a quest’estate il ritrovamento sul canyon di Castelsardo a la secca del corallo denominata cosi dal team del diving che a localizzato il sito, che con un capello a circa 65 metri si porta oltre i 100 metri di fondo.
Il Diving
è possibile immergersi sulla corvetta C20 Gazzella guidati dalle esperte guide della ASD I Sette Mari che ormai si e gettata a pieno nel servizio Technical Diving, il Diving è centro di formazione Istruttori Trimix Scuba Association, fino al Trimix 95, e centro di fomazione Istruttori Nase Italia, oltre allo showroom in paese con le migliori marche, e presente a mare con una base nautica di 110 m2 a 5 m dal mare in località la Tonnara (Sorso), con tutti i comfort per i suoi soci, le uscite a mare sono assicurate da 2 gommoni da 6.50 m, sempre presenti a bordo barcaiolo (in possesso dei brevetti di assistente di superficie, CPR-FA, patente nautica), assistente alla vestizione, Safety Diver, e Guida.
Oltre alle immersioni sul Gazzella il centro accompagna sui seguenti relitti A.Podesta (55-66), Albatros (57-60), Number One (34-39), Bacan (67 – 74). Numerose le secche di mare aperto tra cui secca di castelsardo (11-45), secca algherese (34-54), schiena di cavallo (33-50), la parete del corallo (65-100)
Guida pratica
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Grado di difficoltà: medio alto
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Brevetto richiesto: Tek Deco Diver 50, superiore o equivalente
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Profondità media: 52 m
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Durata navigazione: 7 minuti, accesso a mare da località la Tonnara (Sorso)
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Fondo: sabbia
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Corrente: praticamente sempre debole o assente
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Visibilità: buona
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Reti: solo una sullo specchio di poppa
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Note: uno dei più bei relitti del mediterraneo da non perdere per gli Wreck Diver
Le conclusioni personali
La storia del Gazzella ha quasi dell’assurdo, saltare su un proprio campo minato, apparentemente la verità sembra svelata, il terribile secondo della nave, disobbedendo agli ordini del comandante, ha condannato se stesso ed altre 99 persone, ma a mio parere personale, purtroppo non si può dopo più di sessantenni affermare di chi e colpa e chi è innocente, gli eventi della guerra in quel determinato periodo storico erano più che drammatici, a bordo si aspettava da un momento all’altro l’annuncio di un’armistizio con gli alleati che iniziavano a risalire la penisola, il governo ormai scomparso, il morale degli equipaggi era basso, avevano combattuto e perso tanti amici sul mare, inoltre la marina tedesca ormai non informava più i comandi marina di dove venivano posate le mine (visto che a posarle erano posamine tedeschi che posavano mine tedesche, l’Italia aveva già terminato la sua scorta nel 1943). Dalle testimonianze del comandante Montini e del segnalatore Luztu, si condanna senza dubbio il secondo, durante la mia ricerca storica sulla vicenda sono venute alla luce altri fatti che ora elenco:
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le corvette in missione come tutte le navi militari della seconda guerra mondiale navigavano in linea di fila, quindi la domanda se il Gazzella è finito sul campo minato, il Minerva che viaggiava a breve distanza dove stava? Perché non avviso la sua gemella? Ma soprattutto come ha fatto a prestare assistenza ai naufraghi all’interno di un campo minato? Purtroppo non sono riuscito a trovare testimonianze di membri dell’equipaggio del Minerva.
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Lo stesso posamine tedesco Pommern qualche mese dopo affonda finendo su una mina, che per ironia della sorte egli stessa aveva posato, il posamine non è mai stato trovato
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Il secondo di una unità navale della Marina, allora Regia Marina non commette leggerezze di questo genere, si attiene alle disposizioni imposte anche non approvandole, e purtroppo è lui che si occupa del personale, del servizio a bordo, gestisce gli altri ufficiali, e lui che porta al comandante la situazione globale di bordo, sulla quale il primo prende le sue decisioni. Possibile che una persona con tale incarico si possa essere addentrato volontariamente all’interno di un campo minato segnato sapendo benissimo a cosa andava incontro?
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Nell’agosto del 1943, la Germania ormai non faceva più affidamento sugli Italiani (come del resto aveva fatto per tutta la durata della guerra), allora per prevenire sbarchi alleati sono state minate tutte le possibili zone di sbarco alleato, possibile che siano state posate mine sulle rotte di sicurezza delle nostre navi?
Dopo ulteriori immersioni verrà ritrovato il carrello di una mina ormeggiata tedesca circa 10 metri fuori dal relitto sul lato sinistro della sfortunata unità!!!
Il dramma della guerra, il fascino di ricordare e riscoprire, ci fa provare sempre nuove emozioni, è questo che spinge tantissimi wreck diver, come me ad esplorare a volte l’ignoto.
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