Autore testo: Pierpaolo Montali
Autore foto: Mario Spagnoletti
Autori spedizione: Styled Team Explorer
L’immersione sul relitto della nave trasporto passeggeri Hirondelle sul fondo del Lago Lemano è impegnativa: questo potrei dire, dopo averla compiuta a documentata con Mario e gli amici dello Styled Team Explorer che hanno voluto accompagnarci nei quattro tentativi di riprendere delle immagini che potessero essere proposte al pubblico in modo dignitoso.
Impegnativa per almeno quattro buone ragioni:
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le temperature di aria ed acqua
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la logistica dell’immersione
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la visibilità nell’acqua (mai chiara perché al fondo di un grande impluvio naturale)
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la profondità di rispetto per un lago
Questa è tuttavia una bellissima immersione, per i medesimi motivi di cui sopra, riservata ad esperti ed appassionati sommozzatori, che sappiano allenarsi e prepararsi psicologicamente al superamento delle difficoltà correlate.
Tutto nasce dalla nostra ferrea volontà di documentare anche il terzo battello a vapore conosciuto ed affondato in un lago svizzero-francese nel cuore d’Europa.
Quel che ci anima è anche la ricerca storica delle nostre passate e (purtroppo!) dimenticate tradizioni.
Dopo aver portato alla luce i relitti di Jura e France nei laghi di Costanza e di Annecy, era nostra ferma intenzione chiudere il trittico in bellezza con l’immersione più profonda su quello che, dei tre, era il battello più grosso e capace, nel nostro immaginario, di regalare le più intense emozioni.
L’Hirondelle era un battello a vapore del tipo a ponte raso con dimensioni del tutto rispettabili: 11 metri di larghezza e circa 52 di lunghezza. Il suo tiraggio dall’acqua, adattato ad un lago, era tuttavia mediocre: solo un metro e trenta.
La propulsione era assicurata da una macchina a vapore verticale a due cilindri oscillanti che era in grado di sviluppare 65 cavalli nominali.
Il battello poteva far salire a bordo sino a ottocento passeggeri con una velocità massima di crociera di 23 km/h. a pieno carico. Esso poteva essere definito il segno dei tempi moderni che stavano pressantemente entrando nella mentalità degli uomini.
Nel 1821 il diplomatico americano Edward Church infatti era giunto a Ginevra per lavoro ed aveva notato che non esistesse alcun vapore sul grande lago. Egli considerava la Svizzera un paese al centro dell’Europa libero ed ingegnoso, ma ancora privo dei benefici della tecnica e della scienza. In altri Stati, anche non lontani da quello elvetico, i benefici della straordinaria scoperta di Robert Fulton,che avrebbe di lì a poco cambiato il modo di navigare, la caldaia a vapore montata su nave, erano già in programmazione esecutiva.
Church sottopose pertanto alle autorità cantonali del Vaud e di Ginevra il progetto di introdurre la navigazione a vapore sul lago Lemano in assenza della costruenda ferrovia a bordo lago.
Nel maggio del 1823 così il primo battello a vapore della storia del lago vedeva il suo varo con il nome di Guglielmo Tell I. Il 18 giugno del 1823 poi questi faceva poi il suo primo viaggio di linea, dando inizio ad una sequenza di successi di pubblico e di viaggiatori davvero rilevanti.
Sollecitato da tutte le parti a vendere il suo battello a vapore, Church alla fine cedette ed il 15 agosto del 1824 un gruppo di imprenditori ginevrini acquistò il Guglielmo Tell I, dando così vita alla Società del Battello a Vapore Guglielmo Tell I, giusto poco tempo prima dal varo del Winkelried I, secondo battello a vapore a navigare sul lago ginevrino.
In due anni ben quattro compagnie di navigazione si organizzarono, dando vita ad un’accesa concorrenza tra di loro per la divisione del mercato dei trasporti di mercanzie e viaggiatori.
Ancora nel 1855 le varie compagnie, lontane dal confederarsi nella Compagnia Generale di Navigazione del lago di Ginevra ed attendendo sempre l’arrivo della ferrovia sul bordo lago, promettevano ampi guadagni ai loro proprietari con l’aumento costante dei viaggiatori imbarcati.
In quell’anno così la Societé de l’Aigle et du Lèman ordinò un nuovo battello a vapore ai cantieri Escher & Wyss di Zurigo capace di trasportare ben ottocento passeggeri che venne battezzato appunto Hirondelle (= rondine); questa imbarcazione vantò il primato di essere la prima costruita interamente in Svizzera.
Inizialmente fu prevista una chiglia in ferro per l’Hirondelle, ma non essendo ancora terminata una ferrovia che fosse capace di trasportare materiali così ponderosi al cantiere di Zurigo, si optò per il classico fasciame interamente in legno.
Il nuovo battello lasciò dunque la darsena di costruzione il 27 agosto del 1856 per prendere servizio alla fine del mese seguente.
Il 19 febbraio del 1857 purtroppo ebbe il suo primo incidente: si andò ad incagliare alla punta del Promenthoux nei pressi di Nyon, ma venne poi rimesso in grado di riprendere la sua navigazione.
Dall’ottobre del 1825, in cui si registrò la prima vittima (un passeggero del Guglielmo Tell I portato via da un’onda del lago), al dicembre del 1967, mese in cui si registrò l’ultimo incidente, si potrebbe dire che sul lago di Ginevra vi fosse una certa idoneità ad avere guai viaggiando sulle acque, forse a causa della poca esperienza di navigazione delle maestranze di settore, alle prese con macchine ben più grosse e nuove rispetto alla piccole imbarcazioni su cui si erano formate tradizionalmente per la pesca.
Il 10 giugno del 1862, dopo sei anni di navigazione regolare, l’Hirondelle partì alle otto del mattino da Ginevra per arrivare verso mezzogiorno nella cittadina di Vevey.
Qualche minuto più tardi, con un tempo calmo e circa trecentocinquanta passeggeri a bordo, si trovò di fronte ad un’imbarcazione al largo della punta della Becque in località Tour- de- Peilz vicinissimo alla cittadina di Montreux. Per evitare una collisione disastrosa il timoniere si accostò troppo alla riva e portò quindi lo scafo (non in ferro e robusto come detto) a collidere con le punte delle rocce affioranti e poco visibili.
Si aprì una grossa falla non contenibile.
Il comandante Hoffmann diede così l’ordine ai trecentocinquanta passeggeri a bordo di sbarcare, aiutati dai pescatori locali, che erano già intervenuti sul posto compiendo le operazioni senza danno alcuno a bagagli e persone.
La prora dell’imbarcazione si riempì d’acqua molto rapidamente e due ore più tardi, nonostante il sopraggiungere del vapore Simplon e del rimorchiatore Mercure, il suo livello era già giunto all’altezza dei tamburi.
Il primo rapporto sull’incidente, redatto dal Prefetto Jean Roche al Consigliere di Stato Duplan, esprimeva la difficoltà dei soccorritori nell’individuare la falla sotto il piano dell’acqua affiorante che pareva entrare da sotto il locale macchine; egli scriveva che era convinto non vi fossero attrezzature idonee al salvataggio dell’imbarcazione arenatasi, pur sperando nell’arrivo degli ingegneri che due anni prima avevano salvato il Lèman III a Coppet.
La causa dell’incidente era di tutta evidenza da riferirsi all’imprecisione del timoniere, che non conosceva quella parte di lago in quanto rimpiazzo temporaneo di chi avrebbe dovuto essere alla barra quel giorno.
Ignorando le grida ed i segnali dei battellieri locali, vedendosi contro l’imbarcazione contraria, egli finiva per manovrare ove le rocce affioranti producevano il disastroso danno definitivo; capitano e pilota infatti erano in quel momento impegnati a validare i circa trecento biglietti per Montreux e Clarens agli abitanti che rientravano dal mercato di Vevey.
La prima relazione terminava dunque con la poca convinzione del Prefetto di vedere rimettere in pristino facilmente l’imbarcazione.
Il secondo rapporto dell’autorità prefettizia del giorno seguente, appurava che fossero saliti a Vevey circa duecento passeggeri, da aggiungersi a quelli già presenti sull’Hirondelle, per un totale appunto di circa trecentocinquanta e che l’unica colpa del naufragio fosse da attribuirsi al timoniere sostituto di quello abituale, tal Visinand, che si era incaponito ad eseguire una manovra del tutto arbitraria e pur avendo dovuto egli conoscere il lago per aver prestato servizio già da due anni sui battelli a vapore Leman e Mercure.
La realtà, che appariva come una sorta di denuncia delle condizioni di lavoro disumano che gli addetti alla navigazione erano costretti ad affrontare, era che in sole quattro persone di bordo quel giorno stavano governando un’imbarcazione tanto grande, invitando i nuovi imbarcati a fare i biglietti ed aiutandoli anche a sistemare le merci negli appositi vani.
Visinand, dopo aver compreso le dimensioni del disastro e della sua conseguente responsabilità, si diede alla fuga dopo aver dismesso i panni ufficiale della Società di Navigazione.
I passeggeri, tutti tratti in salvo, non lamentarono mai disservizi, ma anzi, lodarono la disponibilità del personale di bordo nel prestar soccorso.
Il Prefetto allora concludeva il suo secondo rapporto indicando al Consiglio di Stato che avrebbe fatto cercare ed arrestare Visinand, visto alcuni giorni dopo a Ginevra.
I tentativi di recupero dell’Hirondelle si protrassero per un mese.
Furono chiamati gli ingegneri del cantiere Escher Wyss & Cie di Zurigo che avevano costruito l’imbarcazione per dirigere i lavori.
Si cominciò con il collocare degli enormi tronchi di pino di trasverso sul ponte di coperta legati con grosse catene allo scafo; con l’ausilio di alcuni argani si pensava di rimettere in galleggiamento il battello a vapore, sollevandolo centimetro per centimetro, in modo da poterlo rimorchiare sino al più vicino bacino di carenaggio. Tuttavia la gravi deformazioni della chiglia si intuivano e fra di esse le peggiori si trovavano sotto l’alloggiamento delle grandi caldaie. In quindici giorni di lavori si riuscirono a portar fuori dall’acqua soltanto due metri di prua, lasciando intravedere ai più ottimisti il successo totale dell’operazione.
La notte tra il 13 ed il 14 luglio purtroppo una violenta ed inattesa tempesta sul lago ruppe gli ancoraggi fino a lì realizzati e devastò la barche d’appoggio accostate. All’alba non si vedevano emergere dall’acqua che i parapetti ed i portabiti della poppa dell’Hirondelle; le pompe inghiottite con il resto del vapore. L’operazione di salvataggio a questo punto era evidentemente divenuta impossibile con i mezzi a disposizione in quel tempo.
Mercoledì 29 luglio, dopo aver recuperato la poppa, che nel contempo si era staccata per cedimento strutturale dal resto del battello sommerso, i presenti videro quel che restava dell’Hirondelle inabissarsi per sempre tra i flutti.
Sette anni più tardi un palombaro tentò invano di localizzare il relitto, nel contempo scivolato alle attuali quote sul pendio fangoso e ripido sottostante.
In quel tratto vi sono numerosi fenomeni di correnti dovute allo spostamento delle acque del nascente Rodano, che prende vita proprio dal lago di Ginevra e che creano rilevanti depositi di tipo alluvionale.
Il lago Lemano conta 89 miliardi di mq d’acqua, con una superficie piana di circa 580 chilometri quadrati. Il tempo di ricambio teorico delle acque è di undici anni e la sua massima profondità è di 309,7 metri.
Lo Styled Explorer Team ha provato a compiere, sulla scorta delle indicazioni degli amici Svizzeri, l’immersione dalla riva, in località appunto Tour de Peilz.
Non consiglieremmo però il tentativo a nessuno in autunno ed inverno, periodo in cui ci siamo stati noi: troppo frequenti i fenomeni meteorologici che rendono l’acqua davvero molto torbida e di conseguenza impossibile, o quasi, l’orientamento addirittura dei subacquei locali che frequentano il sito settimanalmente.
In altro contesto differente da questo si sarebbero potute documentare le immagini di un’acqua davvero difficile, quale quella che abbiamo incontrato per ben tre volte.
Qual è allora l’interesse dato da un’immersione come quella sull’Hirondelle?
Essenzialmente storico e documentativo come detto in premessa.
L’ultimo nostro tuffo è stato così organizzato dalla barca, con partenza dal lato francese del lago.
Si sono già effettuati tre tentativi da riva per riuscire a fare le fotografie e ognuno di essi ha avuto una sua differente tribolazione: dai meno sette gradi centigradi esterni con nevicata, alla già descritta acqua lattiginosa, con una costanza di tre/quattro gradi in essa, sino alla nevicata prodigiosa al Passo del Gran S. Bernardo.
Ora siamo davanti alla maestà del Lago e, ovvio, piove con vento a raffiche che sollevano le acque normalmente placide; perchè attendersi altro del resto?
Saliamo sul gommone in otto, troppi per la tipologia dell’immersione di cui trattasi e navighiamo per circa 20 minuti da una parte all’altra del lago, mentre un pallido sole primaverile si fa spazio tra i nembi minacciosi.
Arrivati sul punto dell’immersione troviamo un’altra imbarcazione che ha già un pedagno sul sito.
I nostri trasportatori attendono un istante per cercare l’intesa con i colleghi presenti sul posto.
Gli altri desisteranno mentre noi verremo portati su una boa poco più avanti con corpo morto ai venti metri, distante però dai quarantadue ove inizia a vedersi la prua dell’Hirondelle. Scendiamo in acqua per primi noi operatori foto-video, priorità doverosamente concordata con il diving.
Sarà la svolta.
Gabriele si lancia nell’oscurità alla ricerca del relitto, io e Mario ad inseguirlo con le attrezzature luci e fotografiche pendenti e lo stress della forte corrente di superficie.
L’immersione, abbiamo detto, è resa difficile dalla scarsa o nulla visibilità sino ai trenta, trentacinque metri, oltre che da un fondale che potrebbe e senza errore essere definito letteralmente di talco; i nostri supporti luci da ambiente estremo però ci rassicurano.
Giunti ai quarantadue i potenti fari illuminano la prua maestosa del battello a vapore sommerso che si ergere dal fondo.
Inutile, a nostro avviso, pensare di seguire da riva il canalone di scivolamento che Francesi e Svizzeri citano in continuazione nei siti e nei vari briefing pre-immersione.
Quando si va in un’unica soluzione altro non può essere. Occorre dire che si possono reperire in rete anche i riferimenti della bussola, ma che senza la minima conoscenza del sito, trovare il relitto da terra e da soli è impresa davvero ardua (riuscitaci soltanto una volta, ma senza apparecchiature fotografiche purtroppo).
Giunti sul relitto si è letteralmente presi dall’incanto dell’ambiente: la finta campana non più originale, ma pur sempre suggestiva, sulla prora, le fiancate con i resti delle balaustre, le due cabine con alloggiamenti delle ruote a pale, la passerella per i passeggeri posta di traverso sulle due medesime, i boccaporti del sottocoperta, in cui ci proviamo ad infilare invano poiché letteralmente colmi di sedimento.
Al fondo del relitto, verso i 60 metri l’alloggiamento della caldaia con un albero motore enorme, scoperto a mostrare cilindri e bielle, proprio come quello del Jura a Costanza.
Al termine dell’esplorazione della murata di dritta, la spaccatura della nave completamente insabbiata nel sedimento.
La cosa più spettacolare però sono i grossi tronchi che furono posti di traverso sulla coperta del battello ed incatenati allo scafo che scivolarono impotenti nell’oscurità quella mattina del 29 luglio del 1862: sono ancora lì, immobili nel buio più assoluto.
Durante la stesura di questo articolo ho scoperto tuttavia che sul sito dell’immersione lavorarono per alcuni mesi, neanche troppi anni fa, i palombari del lago, con l’ausilio di idonea strumentazione professionale, per liberarlo dei detriti che lo ricoprivano da più di un secolo di immersione su un fondale alluvionale.
Il relitto fu scoperto infatti, dopo centoquattro anni di oblio, il 27 febbraio del 1966, per caso, come sempre accade in certuni frangenti, da quattro sommozzatori della Federazione Svizzera losannesi; il primo a fotografare il relitto fu Beat Arnold il 30 dicembre del 1970, che pubblicò le fotografie sul foglio degli Avvisi di Losanna.
Nell’articolo di Arnold si vedevano bene la figura della prua in legno con la Croce Federale intarsiata ed una rete da pesca (rimossa dai palombari) che l’avvolgeva.
Compiere l’immersione oggi senza l’ausilio di miscele ternarie appare non razionale.
Chi scrive ha dato vita ad un’équipe di sommozzatori tutti utilizzanti miscele ternarie in circuito chiuso ed aperto.
Arrivederci alla prossima fantastica immersione e ancora grazie Javier!
Altre foto
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