Autore: Claudio Di Manao
Giù dal finestrino riconosco gli orli dei reef che separano il turchese delle lagune dal blu più profondo del mare aperto. Quel blu, sopra e sotto la superficie, ce l’ha solo il mar rosso: è un blu morbido, forse addolcito dall’ocra del deserto circostante, dalla luce implacabile del deserto del Sinai. Le mie labbra pronunciano i nomi dei reef senza il suono della voce, come in una preghiera: sha’ab ali, sha’b mahmoud, stingray station, shark e yolanda reef. Stiamo per atterrare a Sharm e mi domando: cosa ne sa un reef della rivoluzione?
Sulla peace road senza più traffico, noto che qualcosa è cambiato: opere gigantesche, inutili. Ma voglio vedere i miei amici, quelli che sono rimasti, voglio sentire i loro racconti guardandoli in faccia, voglio vedere quel mare che dall’alto ti fa venir voglia tuffarti dall’aereo in volo. Loro, i miei amici, la rivoluzione l’hanno vissuta su al Jazeera. Ce l’hanno con le balle scritte dai giornali: i carri armati a Sharm non sono mai entrati. Non possono entrare: l’esercito ha bisogno del nulla osta di Israele. Qualcuno si meraviglia dei saccheggi nei supermercati e di alcune rapine a mano armata ai danni di benzinai. Io cado dalle nuvole: in un Paese che è rimasto per mesi senza la polizia… Non capiscono che anche in Svizzera ne succedono di più e di peggio, ed è considerato un paese estremamente sicuro. Ed in Svizzera la polizia c’è sempre. Alcuni sembrano vivere in un mondo incantato che, per pochi istanti, non è stato più il loro, è diventato troppo simile al mondo reale. Altri no, sono realisti, guardano al futuro, alle elezioni, alle incognite di settembre: il passato è già andato, come il presente… nel momento stesso in cui ne parli.
Non c’è gente, ma teniamo duro, teniamo duro, mi dicono in tanti. Ammiro il loro coraggio. Restano ancora a galla i diving che hanno saputo curare una clientela affezionata, una clientela di subacquei fedeli, appassionati, i repeters. Quelli che s’affidavano alla massa fornita dagli alberghi, o alla guerra dei prezzii, hanno perso la loro scommessa. Gli alberghi sono semivuoti, come i negozi, i baretti, i ristorantini sulla passeggiata di Naama Bay. Chi può permetterselo si dedica alle manutenzioni, alle ristrutturazioni. E’ maggio, ma sembra gennaio senza nemmeno i russi, senza i tedeschi.
Si sentono traditi, gli sharmesi. Si sentono traditi dalla stampa, dai tour operators, dalle paure ingiustificate: se lo squalo assassino ha fatto desistere le famiglie ed il vacanziere medio, allo stesso tempo ha attirato subacquei esperti. Ma dello scotto di una rivoluzione che non è neanche passata per Sharm, non sa capacitarsi nessuno.
Ci sono state delle manifestazioni, alle quali hanno partecipato anche i residenti stranieri. E’ stato un momento di unione. Poi c’è stata una manifestazione contro gli istruttori stranieri. Qualcuno si lamenta di una certa ostilità dei locali, ma alla fine ognuno, oggi, in Egitto, può manifestare il suo pensiero senza essere perseguitato. Prima, dovevi stare attento. Chiedo a Fred se vuole vedere il suo nome pubblicato, come autore delle foto alle reti antisqualo. Pochi mesi fa mi avrebbe detto di no, avrebbe avuto paura, me le avrebbe date sottobanco e gratis, ora vuole i vantaggi della sua opera. Prima avrei mandato certe notizie da un indirizzo mail di comodo aperto ad un internet caffè e mai dal mio PC. Oggi Al Masry Alyoum (testata indipendente) sputtana il Governatore del Sud del Sinai per aver abrogato un decreto che proibisce la pesca tradizionale nel Parco di Ras Mohammed, e posso permettermi di scrivere quello che voglio dal mio indirizzo, nome e cognome. Oggi il decreto rientra in meno di una settimana dopo la denuncia dei giornali, della HEPCA della CDWS e grazie ad una petizione. L’avremmo mai immaginato prima, noi sharmesi? Mai. E mi ricordo le liti sulle censure quando scrivevo per i vari magazines, sull’ambiente. Ero ‘Eco Warrior’ su Mix-Mag. Mi ricordo le battaglie in sordina, i miei testi travisati quando invece la redazione avrebbe dovuto usare un box, e mi dicevano: è per il tuo bene. Mi ricordo la polizia che mi cercava, a seguito di due denunce per Figli di una… Shamandura. Finiva sempre tutto a tarallucci e vino, ma io ero uno straniero, un intoccabile. So che oggi non ho più certi privilegi, ma la censura sembra essersi dissipata. Tutti possono permettersi di pronunciare il nome di Mubarak e del Governatore in un luogo pubblico, senza rischiare di scomparire. Oggi ci ridono su, e lanciano mail contro il Governatore che torna sui suoi passi.
La vita di tutti i giorni scorre come prima, né più ne’ meno. Ti chiedi quanto eroismo occorre per restare in piedi, a mantenere aperta una attività con così poca gente. E’ amore. I maligni parlerebbero di soldi riciclati. Ce ne sono, in Egitto, ma l’amore si vede. Io lo vedo. Purtroppo la maggior parte controlla il listino prezzi, e giudica solo da lì.
Ma torniamo alla mia prima domanda: cosa ne sa un reef della rivoluzione?
Sa che con meno gente in acqua e meno barche ed oli solari in giro, respira. A Shark Reef incontro al massimo quattro gruppi di sub, gruppi minuscoli, che razzolano a piacimento. Sul plateau di Jackfish Alley eravamo solo noi: sei subacquei in tutto, due gruppi da tre. Dimenticavo: delfini, shaour, tartarughe, aquile di mare… la settimana scorsa c’erano le mante, poi sono sparite. Qualcuno ha il coraggio di lamentarsi della sparizione delle mante, come se il mare non seguisse dei cicli. In barca il servizio è da urlo: siamo in dieci, con la barca tutta per noi, e la guida ascolta le varie esigenze e le nostre ‘strane’ richieste, senza stress. L’equipaggio esegue, manovra e si sposta senza discutere. Mi chiedo come facciano ad andare avanti così a mantenere così alto lo standard. Coraggio. Ci vuole un coraggio che stampa, tour operators e pubblico continuano a tradire. Forse è colpa delle pessime nozioni di geografia degli Italiani, dice qualcuno: libici, siriani ed egiziani… sono quelli là, quelli che vivono più o meno in quella zona là e fanno quelle cose là. Il mucchio di laggiù, gli arabi, i parenti di Bin Laden.
Giriamo per Old Market (Sharm vecchia) con una videocamera che vale quanto il negozio di frutta all’angolo, ma non c’è nessun sentore di minaccia, di pericolo: nessuno che alluma, nessuno che dà di gomito al compare, nessuno che ti fissa. Eppure, lo so, stanno tutti tirando la cinghia. E di brutto.
Ho voglia di vedere un saggio, un guru con il polso della situazione. Vado dal dr. Adel Taher, alla camera iperbarica di Sharm. Lui e il dr. Ahmed mi mostrano una camera iperbarica nuova di pacca. E’ una specie di space shuttle, una divinità tecnologica da 12 posti, appena allestita. Ovviamente ferma. Vederla è Odissea nelllo Spazio, quando il modulo del Discovery si materializza in una stanza bianchissima. Costa quasi un milione di Euro, dice Ahmed. Ovviamente tè e caffè si servono davanti alla vecchia camera iperbarica, quel bel tubo di ferro pieno di adesivi, coi i manuali, le scartoffire e le tabelle al posto di monitors e joysticks, quella con i manometri analogici. Quante ore hai fatto qui dentro Ahmed? Almeno tremila, mi risponde lui. Adel prepara un tè e chiede quanto zucchero e se voglio la bustina nella tazza. Adel accarezza la ‘vecchia’: piu’ di diecimila trattamenti, dice. Ogni camera iperbarica, è come una donna: ci metti un po’ a capirla, a capire come reagisce e cosa puo’ fare, va assecondata… è davvero una questione di feeling. Capisco che sente di tradire la ‘vecchia’, che conosce bene, è un legame che condivido. Le mie poche ore là dentro come tender non valgono le sue, ma lo space shuttle Made in Germany mi affascina e mi spaventa. Mi accorgo che è un sintomo senile. Passo ad altro. C’è crisi, mi dicono Adel e Ahmed, ma il mare è tornato ai vecchi tempi: noi abbiamo finalmente tempo per immergerci, è bellissimo, non tutti i mali vengono per nuocere. Rifilo ad Adel una maniglia per una battuta sul Governatore del Sud del Sinai: lo squalo addestrato dal Mossad. Lui ride. Gli dico che il mondo ha pensato ad uno scherzo. Anch’io… mi risponde Adel. Poi mi fa: lo conosco, non è neanche malvagio, è che ogni tanto… dice cose assurde, ma alla fine ci ripensa. Il saggio Adel mi serve un tè senza bustina. Bentornato a casa, mi dice… Hai messo le chiavi della tua nuova casa nel portachiavi che ti ho regalato il giorno della tua partenza? Sì. Era un augurio, per la mia nuova vita. Poi mi fa: ho danzato con una manta, a Marsa Bareika, l’altro ieri. Sorseggiamo il tè bollente, senza bustina, nel silenzio totale di una Sharm per pochi. Fuori, la luce forte che amo mi impone gli occhiali da sole. Accade il giorno prima dello stop del Governatore alla pesca a Ras Mohammed.