Autore: Cesare Balzi
Alloggiamo presso la Marina di Orikum, un grazioso e funzionale porticciolo turistico gestito da un ospitale imprenditore italiano di nome Luigi e sede del Yachting Club Orikum. Nonostante la notte precedente trascorsa in traghetto, le due immersioni sulla Paganini ed il successivo trasferimento da Durazzo a Valona, la sveglia suona per tutti alle 7.00. Dobbiamo subito nelle prime ore mettere in moto il compressore che i membri di Blu Sub hanno trasferito nella notte dalla sede di Tirana a quella di Valona. Qualche iniziale intoppo dovuto alla linea elettrica, ma alla fine interviene Michele che riesce a rendere funzionale la linea a 380 Volts. Vanno ricaricate tutte le bombole utilizzate il giorno precedente poiché la scorata di trimix la dovremmo tenere per i giorni successivi. L’uscita in mare per oggi è programmata per il primo pomeriggio. L’obiettivo è il relitto della nave ospedale PO.
La Wien
La nave venne varata il 4 marzo 1911 a Trieste nel cantiere Lloyd Austriaco, fu battezzata con il nome «Wien». Il piroscafo, dalle linee classiche degli scafi di quell’epoca, fu adibito al trasporto passeggeri. Con una stazza di 7.289 tonnellate, lungo 134 metri e largo 17, aveva cabine per 185 posti di prima classe, 61 di seconda e 54 di terza. L’apparato motore era costituito da 8 caldaie e 2 macchine a quadruplice espansione; la potenza di 1.580 n.h.p. poteva sviluppare una velocità di 17 nodi. In seguito allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, fu requisita dalle autorità italiane e trasformata in nave ospedale. Dopo aver navigato sul fronte libico, fu inviata nel febbraio del 1941 nel Basso Adriatico per prestare soccorso ai feriti provenienti dal fronte greco-albanese.
La notte del 14 marzo 1941
«La nave “spedaliera” – come descrive l’amico Neki, pronunciando il nome con cui gli albanesi chiamano il relitto – arrivò quella sera e si ormeggiò nella baia. Da questo punto vicino alla costa, era possibile trasferire sulla nave i feriti che provenivano a bordo di ambulanze e camion dalle baracche dell’ospedale militare». Durante la notte venne affondata da aerei siluranti inglesi “swordfish”. Dei 240 imbarcati, persero la vita 20 membri dell’equipaggio e oltre alle tre infermiere della croce rossa, una quarta morì dopo qualche mese. La trentenne crocerossina Edda Mussolini si salvò, naufragando a Radhima, secondo le circostanze descritte da Neki. La chiglia della «Po» si adagiò sul fondale. L’altezza dell’albero maestro, tuttavia, era tale che l’estremità affiorava dalla superficie per oltre un metro, indicando così il punto esatto del sinistro. Da allora il relitto giace a meno di un miglio dalla costa albanese.
Il relitto
Si trova sulla sponda orientale della baia di Valona, in assetto di navigazione, con la prora rivolta a sud; il fondale sabbioso è di 35 metri; il punto meno fondo sulla coperta è di 15 metri. Nonostante la bassa profondità bisogna porre attenzione: i numerosi accessi invitano chiunque ad entrarvi, e durante il briefing ci raccomandiamo quanto sia necessario adottare tutte le procedure utilizzate in immersioni in ambienti ostruiti. La visibilità è spesso buona, tanto che in assenza di vento e corrente, dalla superficie si intravede la sagoma del relitto, ma data la poca profondità e la lunghezza dello scafo (oltre 130 metri!) non lo si riesce a percepire per intero da prora a poppa.
L’immersione
Appena scesi sul relitto Mauro e Alessandro si soffermano per qualche scatto sulla prua perfettamente verticale, a fianco l’occhio di cubia di dritta dove vi è alloggiata l’ancora; in quello di sinistra scendono le maglie della catena che manteneva la nave alla fonda. Lasciata la prora, si procede verso poppa con l’aiuto del trascinatore TESEO. Superati argani e stive, si arriva di fronte all’imponente cassero.
Vi si entra con facilità e ci si muove all’interno in quello che una volta era il ponte di comando. In questo punto Mauro e Alessandro sono esattamente sopra le cabine di prima classe, all’interno delle quali ci si lascia calare per accedere ai ponti inferiori. E’ tutto un unico ambiente, diviso solo dalle strutture metalliche su cui era poggiato il legno e tutto intorno vetrate ormai distrutte, da cui entra la luce esterna creando dei suggestivi giochi di luce. E’ un luogo sommerso in cui tutto sembra essersi fermato e per alcuni istanti la mente, tra quelle pareti e in quelle stanze ben riconoscibili, sotto ai ventilatori ancora appesi ai soffitti, tra pile di piatti, tazze da colazione ancora infilate l’una nell’altra, bicchieri, e poi tra ampolle, bottiglie, fiale, strumenti ospedalieri e letti ammassati, si riesce a fare un salto indietro nel tempo ed «immergersi» nella storia. All’esterno dello scafo, Michele e Igli procedono verso poppa passando vicino alle gru delle scialuppe e, subito sotto, si lasciano calare sui corridoi esterni dei ponti inferiori. Arrivati alla zona poppiera, si nota come la coperta sia perfettamente integra e allontanandosi di qualche metro dallo scafo è possibile apprezzare l’elegante profilo della poppa e del timone alto più di 10 metri. Le eliche sono parzialmente insabbiate ma ancora visibili a circa 30 metri di profondità.
E’ assolutamente vietata la riproduzione, anche parziale, del testo e delle foto presenti in questo articolo, senza il consenso dell’autore.