Un articolo apparso di recente sul giornale The Huffington Post dichiara morta la Grande Barriera Corallina Australiana (di seguito GBR, da Great Barrier Reef). L’articolo è diventato virale sui social network e la notizia rischia di essere assimilata dai più come una verità assoluta.
Ora, è un dato di fatto innegabile che il GBR sta soffrendo per il più grave fenomeno di bleaching della sua storia recente, che il 93% del reef è stato in qualche modo interessato da fenomeni di sbiancamento, ma questo, come ho cercato di chiarire nei miei articoli sull’argomento, in questa sede e su ScubaZone n. 28, non vuol dire che il reef sia morto, non ancora almeno.
Il recupero della Grande Barriera dopo il bleaching
Risultati scientifici preliminari mostrano che il 22% dei coralli della GBR sono morti in seguito al bleaching (e rapportato alle dimensioni del GBR vuol dire una bella quantità), ma questo, se la matematica non è un’opinione, significa che più di 3/4 dei coralli stanno recuperando. Gli ecosistemi naturali hanno una dote, detta resilienza, che permette loro di recuperare dopo una catastrofe. Non è vero che il mondo scientifico si sia disinteressato di un fenomeno che preoccupa tutti, a cominciare dai 70.000 circa che lavorano sul GBR nel campo del turismo, e che è stato divulgato prontamente e correttamente.
Vogliamo trarre una morale da questa storia? Lasciamo in pace il GBR, lasciamo che si riprenda, e soprattutto evitiamo di diffondere notizie false, interpretazioni parziali, esagerazioni che lasciano il tempo che trovano. La gente ha il diritto di conoscere la verità, di sforzarsi per capirla, e chi informa dovrebbe tener conto di questo diritto invece di interpretare e semplificare troppo le notizie con la propria testa, cercando il titolo sensazionale. Una notizia data nel modo corretto non avrà diffusione virale, ma almeno informerà chi ha avuto voglia di leggerla.