Le ondate di calore non riguardano solo gli ambienti terrestri. Anche gli oceani ne sono interessati, e con una frequenza destinata a crescere.
Dati raccolti dagli scienziati negli ultimi anni cominciano ad essere divulgati attraverso la pubblicazione di almeno un paio di articoli dalle riviste Global Biogeochamical Changes e Nature Climate Change. Apprendiamo così, per la prima volta, che dall’inverno 2013/14 e fino a tutto il 2015 una bolla d’acqua calda del diametro di 1600 km e dalla temperatura mediamente 3 gradi al di sopra delle temperature normali per tutti i periodi stagionali stazionò nel Nord Est del Pacifico, verso il continente americano. Si guadagnò addirittura il soprannome di Blob. Le conseguenze? Sconvolgimenti nelle correnti (l’acqua calda ha minore densità di quella fredda, ci galleggia sopra senza mescolarsi), ridotta produzione di plancton con ripercussioni lungo tutta la catena alimentare, spostamento verso acque più fredde e ricche di cibo dei pesci, presenza di animali insoliti (come la feresa, un piccolo cetaceo tropicale, che era avvvistato oltre 2500 km a nord della sua solita area di distribuzione).
La costa sud-occidentale dell’Australia è stata colpita da un ondata di caldo più breve ma più intensa tra gli anni 2010 e 2011, con temperature fino a 6° sopra la norma, mortalità elevatissima delle alghe brune (kelp) e migrazione di alghe e pesci dalle aree tropicali poste a nord.
La ricerca su questi eventi estremi è solo agli inizi, ma tutto il mondo scientifico si preoccupa per le possibili conseguenze, esacerbate dal riscaldamento globale in corso.