Autore: Francesco Turano
Il tempo non promette gran che nonostante sia già il due di luglio di questa estate iniziata in toni spenti. L’idea di andare a tuffarmi alla Mpaddata, proposta da Marcello del diving Sub Sea Explorer, tuttavia mi coinvolge, a tal punto che non mi lascio sfiorare il morale neanche di striscio dal tempo grigio e mi godo il mare calmo e plumbeo durante il tragitto in gommone da Cannitello a Scilla. L’ancora scivola tranquilla sul cappello della secca che sappiamo sotto di noi; la corrente è ferma: il mare sembra una piscina. Ci prepariamo al tuffo e, dopo gli ultimi controlli, entriamo in acqua e ci lasciamo andare verso il fondo. Avvolti dall’acqua un po’ scura ma con una visibilità comunque discreta, vediamo subito il picco della Mpaddata: “Quanto tempo è passato dall’ultima volta – penso – era un po’ che non mi facevo vivo da queste parti, sulle mitiche secche di Scilla…”.
Sogno di tutti i subacquei amanti dello Stretto, la Mpaddta è la più nota di queste secche, un concentrato di biodiversità spaventoso dove domina la gorgonia bicolore e molti altri tipi di celenterati. Che dire: a volte sembra di vedere concentrazioni di specie diverse che sembrano non temere il confronto con le barriere coralline. In pochi metri quadrati di fondale hai davanti agli occhi un tappeto di gorgonie, tunicati, briozoi, policheti, poriferi, molluschi, e altre specie bentoniche, arricchite dal movimento elettrico delle donzelle e dal lento sciamare degli eleganti minuscoli serranidi volgarmente noti come castagnole rosa. Arrivo sul fondo carico di entusiasmo, lasciando alle mie spalle l’acqua calda dei primi strati ed entrando in un mondo più fresco e colorato.
I primi colori saturi di questo mare sono quelli degli astroides, attori in prima fila della copertura delle guglie rocciose nel tratto sommitale; arancio delle madrepore che si alterna al verde delle alghe in un’armonia cromatica davvero insolita. Ma il bello viene quando mi spingo avanti e mi metto all’ombra della grande parete esposta a sud ovest, il bellissimo ciglio della Mpaddata, dove iniziano a vedersi le gorgonie quasi subito, dove cernie e murene trovano ancora rifugio e dove sul fondo ghiaioso, alla base della parete, uno straordinario tappeto fatto dai pezzi del coralligeno senza vita e depositato sul fondo ricopre ogni cosa. Poco distanti dalla parete, altri scogli bassi e ampi sono coperti di gorgonie in un fantasmagorico spettacolo; rossi e gialli sono tinte di un sogno che ogni subacqueo appassionato di Mediterraneo vorrebbe vivere.
Se penso che un tempo i pesci che nuotavano sereni tra queste gorgonie erano tantissimi, mi viene tristezza, tanta tristezza. Allora mi perdo con la mente e penso a come poteva essere guardare una cernia a cendela tra i rami delle paramuricee rosse e gialle, avvolte da gruppi di boghe argentate e castagnole rosa fittissime come i pesci di vetro del Mar Rosso. Scene che posso solo provare a sognare, purtroppo, scene di tempi perduti. Oggi lo Stretto è agonizzante e continuare a vedere certi spettacoli è un vero miracolo. Speriamo che qualcosa cambi quanto prima e si riesca a salvare il salvabile. Non abbiamo altre vie per il futuro dell’uomo. Ma evitiamo pensieri tristi per quanto possibile, godendo del palcoscenico naturale che ci circonda.
Curiosando tra i rami delle gorgonie, da uno scoglio all’altro, in cerca di qualche spunto suggestivo per foto d’effetto che possano almeno in parte render l’idea di una tale bellezza, scovo una rametto di Gerardia savaglia mai visto prima, uno dei tanti distribuiti sui fondali di Scilla e dintorni; mi soffermo, cerco un punto per inquadrare e scattare e provo a realizzare qualche immagine. Le mie foto cercano sempre di essere una testimonianza di quanto vedo, con la mia personale interpretazione e col mio taglio, ma in ogni caso lo scopo è sempre quello di esaltare il bello di questa natura sommersa, la grandiosità della biodiversità. Usando una fotocamera cerco di fare qualcosa di utile, cerco di far conoscere il mare a coloro, la maggior parte, che nella vita non vedranno mai certe cose. Fotografare solo per fotografare non avrebbe senso. Se tutti conoscessero almeno un po’ le meraviglie della vita sommersa forse capirebbero la maestosità di un simile patrimonio, da sempre a disposizione dell’uomo che però non rispetta più i delicati equilibri della natura. Forme e colori scorrono sotto i miei occhi: pesci e invertebrati animano gli ambienti e fatico a ricordarmi di guardare gli strumenti per capire che sono sott’acqua.
La suggestione della penombra che avvolge i colori del mondo subacqueo mi attornia rendendomi pieno di gioia: scatto quanto più posso, rubando magici istanti a forme di vita che sulla terra non vedo, scene che solo per una manciata di minuti ogni tanto mi sono concesse. La Mpaddata è una secca maestosa: me ne rendo conto quando arrivo alla fine dell’orlo e mi affaccio al’inizio del ciglio che dai quaranta metri sprofonda ad anfiteatro verso gli ottanta e oltre. Mi affaccio, contemplo le gorgonie che tappezzano tutto e che perdono colore mam mano che lo sguardo scivola verso l’abisso, ma è ora di invertire la marcia, tornare indietro per una lenta ascesa. Osservo sempre i cambiamenti della fauna in funzione delle quote, della luce, della temperatura. Il solito carrello di immagini si susseguono: le gorgonie si diradano fino a scomparire, poi aumentano le alghe e poi si vedono madrepore, soprattutto arancioni. Siamo giunti sull’ancora: gli ultimi venti metri ci separano dalla superficie ma ancora alcuni minuti di sosta sotto il gommone ci consentiranno di riflettere sull’esperienza appena conclusa e di osservare le meduse e gli altri organismi trasportati dalla masse d’acqua in movimento.
La Mpaddata è la secca simbolo di Scilla, una montagna di pietra a pochi passi da riva. Intorno ad essa altre montagne di pietra formano una cornice a ferro di cavallo tutt’intorno alla mitica rupe col castello. Non basta una vita per carpire i segreti di questo lembo di costa mediterranea e le immersioni si ripetono, tutte sempre diverse. Eppure, ci son subacquei desiderosi di vedere ogni volta posti nuovi, perché magari le secche di Scilla sono già descritte sul taccuino delle immersioni. Ma cosa hanno visto del mare di Scilla? Cosa sanno costoro della vita nel mare?
Una volta a bordo tiriamo l’ancora e nel silenzio pacato di una giornata dai toni smorzati rompiamo l’incanto solo col rumore del fuoribordo. Ma è l’unico rumore che ci accompagna durante il tragitto, un rumore che diventa una musica se ti concentri sul mare e ti perdi negli abissi dello Stretto con la mente, navigando…
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