Non possiamo farci nulla, è più forte di noi, dobbiamo toccare tutto! Capire come sono fatte le cose, che consistenza hanno, analizzare la loro forma nei minimi particolari, la loro colorazione… è un richiamo irresistibile, una curiosità della quale non possiamo fare a meno e che è nella nostra natura.
Tutto ciò è verissimo soprattutto quando siamo piccoli e abbiamo appena cominciato a scoprire il mondo. Il problema è che poi col tempo si cresce e uno dovrebbe, in alcune occasioni, riuscire a controllare la propria curiosità e capire quando può o non può toccare. Come in quei negozi dove sulle mensole o sulle pareti si ritrovano dei cartelli con su scritto: “Si prega di non toccare la merce in esposizione”. E’ semplice, si guarda, si osserva e non si tocca.
Eppure quando una persona comincia a fare immersioni è come se tornasse bambino. La voglia di toccare tutto prevale, qualunque cosa si trovi sott’acqua stimola la nostra curiosità con un’attrazione incontrastabile. Sia che si tratti di un pezzo di roccia ricco di incrostazioni o di una bottiglia di vetro divenuta ormai rifugio per una lunga serie di organismi… poco importa. E’ diverso dal quotidiano, non sappiamo esattamente cosa ci sia sopra (o dentro) e in più si trova sott’acqua. Sono motivazioni più che sufficienti per instaurare una genuina tentazione a toccare quanto stia davanti a noi! Ecco quindi che le guide e gli istruttori dei diving cominciano a prodigarsi in raccomandazioni e, a volte, persino in veri e propri divieti per evitare le possibili conseguenze di tale comportamento. In molti paesi tropicali ad esempio è proibito immergersi con i guanti proprio per far desistere il subacqueo dal toccare qualunque cosa veda perché finché si tratta di un oggetto inanimato è un conto… ma quando si parla di organismi non è più solo la nostra curiosità ad essere in gioco.
Ma quali sono i motivi per tali accorgimenti?
Partiamo da quello che ci riguarda in maniera più diretta, ovvero un motivo di sicurezza personale. Molti organismi infatti possono essere considerati “pericolosi” per l’uomo se maneggiati incautamente o toccati senza motivo.
Quale genitore al mare non ha, almeno una volta, fatto mille raccomandazioni ai figli sul fatto di fare attenzione ai ricci e ai pomodori di mare (Actinia equina)? Il perché è molto semplice, i ricci pungono e i pomodori sono urticanti. Si tratta di organismi molto comuni nei nostri mari e che si ritrovano facilmente a livello dell’escursione mareale o in pochi metri d’acqua. Proprio per questo sono ampiamente conosciuti anche da chi non effettua immersioni ma si limita a godersi un bel bagno in superficie con maschera e pinne.
Essi non sono però gli unici esempi di organismi “pericolosi per l’uomo” presenti in ambiente marino. Molti di questi non sono così comuni ed è quindi facile che l’incauto subacqueo, ignaro di ciò che si ritrova davanti, possa cedere alla curiosità e rischiare così di tornare in superficie “scottato”.
Come si suol dire però “Sbagliando si impara” (o almeno si dovrebbe), ecco quindi che il singolo errore può diventare un monito ben più efficace di qualunque raccomandazione fatta in superficie.
Tuttavia prevenire è sicuramente meglio che curare e talvolta può capitare che l’errore sia un po’ più grave della spina di riccio da dover estrarre dalla mano.
Alcuni organismi infatti sono in grado, ad esempio attraverso il morso o spine ed aculei, di rilasciare tossine aventi le azioni più diverse: epatotossine, ematotossine, neurotossine etc.
Ecco quindi che non si tratta più soltanto di un morso da disinfettare e lasciar cicatrizzare, ma di qualcosa che può creare dei problemi ben più gravi come mal di testa, vomito, paralisi etc. Non di sicuro l’ideale per svolgere un’immersione in maniera rilassante e sicura.
In altri casi anche il semplice contatto può portare a delle conseguenze ben più prolungate della semplice irritazione momentanea. La maggior sensibilità di una persona a determinate sostanze può incidere in maniera significativa sulla reazione dell’organismo. Una semplice “puntura” di medusa può innescare anche reazioni allergiche e, nei casi peggiori, uno shock anafilattico.
Andando agli estremi possiamo parlare del famoso “polpo ad anelli blu” (Hapalochlaena lunulata). Un cefalopode che, grande quanto una pallina da golf, è in grado di portare un essere umano alla morte grazie ad una neurotossina prodotta da alcuni batteri simbionti presenti nelle sue ghiandole salivari.
Insomma… non fatevi ingannare dalla taglia dell’organismo, grandi o piccoli che siano, alcuni organismi sono potenzialmente letali o comunque in grado di lasciarvi un ricordo poco piacevole dell’immersione della giornata! Motivo per cui, meno vengono disturbati meglio è. Dopotutto le loro sono solamente strategie di difesa.
Spostiamoci ora da quello che è il lato “ecologico” della questione. Purtroppo molti subacquei non si rendono conto dei possibili danni che possono arrecare agli organismi maneggiandoli incautamente o dei danni da impatto che la loro immersione può provocare se non effettuata con attenzione.
E’ ormai un dato di fatto che, specie al fondo di pareti spesso frequentate dai subacquei, vi sia una concentrazione maggiore di resti di organismi. Non stiamo parlando però di organismi quali pesci, nudibranchi, stelle… ma di veri e propri tappeti di frammenti di briozoi, gorgonacei, coralli, spugne etc. Organismi fragili che presentano dei tempi di accrescimento spesso molto prolungati. Il Corallium rubrum ad esempio mostra un tasso di crescita di pochi centimetri all’anno (3-4 cm/anno) in lunghezza e di decimi di millimetro (0,5-0,8 mm/anno) in spessore. Provate ora a fare un calcolo e vedere quanto tempo hanno impiegato per crescere quei piccoli rametti che avete visto durante alcune delle vostre immersioni.
I fondamentali della subacquea, quali la regolazione dell’assetto o una corretta pinneggiata, possono sembrare di scarsa importanza al neofita coinvolto della novità della situazione oppure essere ancora di difficile gestione. Ecco quindi che un assetto non corretto o una pinneggiata non idonea vicino a pareti ricche di questi organismi possono creare dei veri e propri danni, dei quali peraltro il subacqueo novizio potrebbe anche non accorgersi.
La stessa cosa può essere detta riguardo l’abitudine di prendere fisicamente gli organismi e farli poi passare nelle mani di tutto il gruppo. La delicatezza di molte specie è tale per cui anche un semplice gesto come questo può provocar loro dei danni. Un giglio di mare (Antedon mediterranea) si ritroverà facilmente ad avere i peduncoli spezzati a causa della resistenza che oppone alla trazione, con essi infatti si fisserà al substrato opponendosi alla manovra del subacqueo, che invece potrebbe tentare di tirarlo via dalla roccia fino a romperli.
Estrarre un polpo fuori dalla tana può portare al danneggiamento dei tentacoli e perfino al loro distacco. Nel caso di una femmina con le uova inoltre causerà l’abbandono della tana e di tutta la possibile prole che non sarà più difesa e diventerà cibo per gli organismi circostanti.
E via dicendo…
Insomma, il semplice fatto di entrare in un altro ambiente comporterà nel tempo delle modifiche allo stesso, per questo motivo l’immersione a “impatto zero” non esiste. Però con qualche accortezza, e un po’ di buon senso, possiamo avvicinarci molto!
Purtroppo piccoli impatti, a lungo andare, si sommano e possono portare a conseguenze ben più gravi che nemmeno sospettiamo. Si parla del famoso effetto farfalla, secondo il quale lo sbattere d’ali di una farfalla genera, in un’altra parte del mondo, una tempesta a causa di una concatenazione di eventi che porta ad amplificarne l’effetto.
Se vogliamo mantenere i nostri siti d’immersione nella miglior condizione possibile e il più a lungo possibile allora bisogna impegnarsi per evitare anche quei piccoli danni che a lungo andare potrebbero diventare permanenti o ingigantirsi. Certo nessuno è perfetto e tutti sbagliano… ma con un po’ di attenzione e accortezza in più si sbaglia sicuramente meno e i vantaggi saranno reciproci, per gli organismi e per noi!
Articolo pubblicato su ScubaZone Magazine n.8
Testo: Beatrice Rivoira – Foto: Giorgio Della Rovere