E ci siamo anche quest’anno: come a dire che i biologi marini non si fermano mai e si spostano ovunque si possa mettere la maschera sott’acqua e studiare qualcosa di nuovo. Ci eravamo lasciati con i cani di famiglia che mi aiutavo a scrivere l’ultimo post per il “Diario di una biologa marina a Taiwan” e ci ritroviamo circondati da deserto, palme e cammelli con una fantastica vista sul Mar Rosso.
Quest’anno la meta della borsa di studio che ho vinto è l’Arabia Saudita, in particolare la King Abdullah University of Science and Tecnology, un campus super tecnologico e super attrezzato che fornisce tutto quello che un “intern” (cioè un borsista dell’università) ha bisogno. A parte il maiale: super proibito visto il paese mussulmano manca a tutti gli studenti internazionali allo stesso modo. Niente carbonara per i prossimi mesi.
Per prima cosa, come al solito, ho dovuto però capire cosa mettere in valigia.
Grande protagonista e must di questo viaggio è l’abaya, ovvero la tunica nera delle donne musulmane con tanto di velo. In realtà suona molto peggio di quello che è: nel campus si puo’ vestire all’occidentale (basta che ginocchia e spalle siano coperte durante il Ramadan) e l’abaya si usa solo per uscire nella “vera” Arabia. Cosa che sono felice di fare visti tutti i ristoranti tradizionali che ci sono nella città vicina al campus.
Credo comunque di essere la persona piu’ estroversa del mondo, quindi, come è giusto che sia, il secondo giorno in un paese straniero mi ritrovo piena di cose da fare sempre in compagnia di studenti e borsisti da ogni parte del mondo. Inutile dirlo, l’inglese è d’obbligo. Ma la necessità fa diventare poliglotti e capisco subito come organizzare la cosa piu’ importante: ovvero dove/come/quando immergermi. Molto piu’ facile che a Taiwan devo dire: qui l’università ha il suo centro diving e, aspettando di convertire il mio brevetto PADI in brevetto saudita (che spero dica cose sensate essendo scritto tutto in arabo), ho trovato anche il tempo per visitare qualche sito archeologico.
Così la prima tappa del mese è la “Piccola Petra” dell’Arabia Saudita (ovvero il sito archeologico di Al-Hijir, piu’ semplicemente Al Ula), un posto veramente straordinario che ripaga totalmente le 8 ore di pullman che ci sono volute per raggiungerlo. Sono stati due giorni di sole cocente e arrampicate con l’abaya: ovviamente non essendo abituata a vestirmi in lungo per andare in gita in montagna ho rischiato un paio di volte la vita inciampando nei momenti meno opportuni. Ma siamo sopravvissuti tutti riuscendo anche a goderci le stelle accanto al fuoco nella tranquillità del deserto con la fedele shisha (o narghilè se preferite).
E poi finalmente il mare. Lo scorso week end ho fatto la prima esperienza di snorkeling: stupendo nonostante la scottatura per il troppo sole e i graffi dei coralli. Sono anche riuscita a vedere la mia prima tartaruga marina in ambiente selvatico: era stupenda e sono perfettamente conscia del fatto che le foto che ho fatto non rendono giustizia. C’era davvero troppo vento e troppe onde, motivo principale del mio “scontro” coi coralli.
Ma il prossimo week end mi aspettano due immersioni sul reef. L’abaya sarà abbandonata per il bikini, la macchinetta verrà caricata e niente scuse: almeno un paio d’ore a respirare azoto. Non vedo l’ora.
Foto di Lucia Gastoldi e Peter Horvath. E’ assolutamente vietata la riproduzione, anche parziale, del testo e delle foto presenti in questo articolo, senza il consenso dell’autore.