Autore: Fabio Carnovale
Prima parte: la prevenzione.
I "disturbi" della fotografia subacquea hanno varie origini, prima di tutte la presenza di infinite particelle solide sospese nel mezzo liquido, poi la grana della pellicola o il "rumore" del sensore digitale. Questa caratteristica è tanto più accentuata quanto più l’acqua è cosparsa di sabbia o plancton e direttamente proporzionale alla sensibilità della pellicola o del sensore in particolar modo nelle zone di minor luminosità.
Vediamo ora come minimizzare questo problema, in primo luogo analizziamo le misure da prendere per prevenire il più possibile la comparsa di questi disturbi durante la fase di ripresa:
In primo luogo cerchiamo, ove possibile, di non utilizzare sensibilità maggiori di 100-200 iso, non è assolutamente necessario impostare la macchina a valori superiori nella quasi totalità delle fotografie subacquee. Anche se i sensori oggi vengono descritti come miracoli della tecnologia (e lo sono) nei quali il rumore di un’immagine a 800 iso è paragonabile a quella di una a 100, e magari lo riscontriamo anche noi nelle nostre foto, così non è per tutte quelle immagini in cui sono presenti delle zone scure, dove il sensore viene messo "alle corde" e comincia a mostrare quel fastidioso effetto puntinato. Impostare la sensibilità a valori alti può avere senso solo nel caso di riprese d’ambiente, dove il flash anche potente non può arrivare ad illuminare sufficientemente, a profondità elevate o nel caso di cielo nuvoloso, ad esempio un relitto da riprendere nel suo insieme ad una quota oltre i 40 mt.
Del resto, utilizzando nella fotosub prevalentemente ottiche grandangolari, non avremo particolare bisogno né di chiudere molto il diaframma né di utilizzare tempi veloci, in quanto non vi sono molti problemi di mosso o di scarsa profondità di campo. Queste considerazioni sono valide anche per gli indomiti e irriducibili utilizzatori di quella magica emulsione chiamata pellicola fotografica.
Per quanto riguarda la sospensione, in primo luogo sarà bene… non alzarla, avvicinandoci con cautela al punto di ripresa e cercando di farlo prima dei nostri compagni di immersione non fotografi, che non possono comprendere questa necessità. Il secondo suggerimento riguarda la luce del flash che, come ormai è spiegato da anni in tutti i sacri testi, deve essere angolata rispetto all’asse di ripresa dell’obiettivo. Perché il flash deve essere lontano e angolato? Per spiegare questo concetto mi rifarò al principio di funzionamento dei fari automobilistici cosiddetti "fendinebbia": questi sono posti normalmente vicini al fondo stradale, ciò perché il fascio di luce andrà a colpire la zona da vedere (la strada) senza illuminare le particelle acquose costituenti la nebbia poste tra gli occhi del guidatore e la strada stessa. In tal modo la luce riflessa dalla strada che raggiunge gli occhi del conducente illumina le particelle solo nel percorso di "ritorno" verso di essi. Con una illuminazione parallela o coassiale alla vista del guidatore, ad esempio con i fari "abbaglianti", il risultato sarà un muro bianco di particelle illuminate nel percorso di "andata" della luce. Questo principio si applica anche nel caso di illuminazione del flash angolato e distante dalla macchina fotografica, e spiega la necessità di utilizzare bracci più o meno lunghi ed articolati su cui applicare i lampeggiatori. In realtà quello che avviene non è esattamente come spiegato, una parte di sospensione inquadrata viene comunque illuminata dalla luce nel percorso di andata, solo che le particelle verranno illuminate parzialmente e saranno quindi meno visibili.
In questo disegno schematico vediamo come vengono illuminate parzialmente le particelle di sospensione.
Seconda parte: la cura.
Qui per gli utilizzatori di pellicola c’è poco da fare, a meno che non si voglia in un secondo momento, convertire in digitale la preziosa immagine "analogica".
Iniziamo dal "rumore" del sensore; i principali programmi di fotoritocco (il solito Photoshop oppure Corel Paint Shop Pro, quest’ultimo da me utilizzato molto volentieri) posseggono un filtro di riduzione del rumore che non consiste unicamente in un "ammorbidimento" dell’immagine a scapito della incisività (o "acutanza") dei margini, ma addirittura permettono una enfatizzazione della messa a fuoco, analogamente alla "maschera di contrasto" pur riducendo la granulosità. Ovviamente gli effetti di questi filtri sono personalizzabili e, prova che ti riprova, si otterranno i risultati voluti. Esiste inoltre, scaricabile a pagamento, un programmino molto efficace chiamato Neat Image dedicato esclusivamente a questa funzione. Lo descrivo in sommi capi: essendo un cosiddetto plug-in può essere inserito nell’ambito dei programmi di fotoritocco più diffusi, e utilizzato come qualunque altro effetto; questo vuol dire che, volendo lavorare per "livelli" oppure "scontornando" delle aree, si potrà applicare la modifica selettivamente a zone diverse dell’immagine. Il modo più semplice per utilizzare il programma è quello di selezionare un’area priva di dettagli (ad esempio lo sfondo blu) per permettere al software di analizzare il disturbo da correggere, poi si personalizzerà la diminuzione del rumore e l’aumento dello "sharpening" e si potrà osservare in anteprima il risultato prima di applicarlo all’intera immagine od a una parte di essa. In alternativa, se dovesse mancare la zona uniforme da analizzare, si può utilizzare un’altra foto magari fatta appositamente con le stesse caratteristiche di sensibilità e rumore priva di particolari. E’, infatti, assolutamente indispensabile analizzare il rumore nella zona interessata senza che siano presenti altri particolari, questi sarebbero infatti interpretati come "disturbo" e sfocati, dando luogo a un’immagine inaccettabile. Essendo un software professionale, inoltre, presenta una serie di regolazioni e personalizzazioni su cui non mi dilungo, vale senz’altro la pena comunque acquistarlo. Il rovescio della medaglia di questi effetti consiste nel rischio di produrre immagini i cui soggetti appaiano un po’ finti, "plasticosi" e poi, aspetto assolutamente da non sottovalutare, la tendenza a produrre, su aree degradanti in maniera uniforme come ad esempio lo sfondo blu, un effetto "posterizzazione", ovvero un degradare della luminosità non uniforme ma a "strati" . Per evitare quest’ultimo problema è bene non esagerare con la regolazione dell’intensità del filtro, che sia quello proprietario del fotoritocco utilizzato o che si tratti del plug-in citato, e non salvare le immagini così trattate con la compressione jpg (che, effettuando delle approssimazioni nelle tonalità di colore aumenterà ancor di più questo effetto), almeno per le copie che intenderemo stampare ed ingrandire. Inoltre non facciamoci tentare troppo dall’aumento dello sharpening, analogamente alla maschera di contrasto questo può generare effetti di "aliasing" (scalettature) che ci rovineranno l’immagine. E’ molto utile selezionare zone di differente influenza degli effetti tramite la scontornatura od il lavoro per layers.
Ma ora viene il bello: nella fotografia subacquea i puntini della sospensione assomigliano molto al disturbo digitale generato dal sensore, i filtri in questione potrebbero essere efficaci per la riduzione di questa fastidiosa presenza, magari aiutata poi dal pennello "clona" per ripulire ulteriormente la nostra beneamata foto.
Ecco l’immagine come si presenta priva di regolazioni ("flat").
Come descritto sono stati applicati il plug-in "Neat Image" e il pennello "clona"per l’eliminazione sia del rumore digitale che della abbondante sospensione presente nell’immagine (sono stati regolati anche il contrasto e la luminosità oltre che il bilanciamento dei colori, ma questo esula da questa trattazione). E’ apprezzabile anche un indesiderato effetto posterizzazione dovuto alla compressione jpg necessaria per la pubblicazione su internet.
Nelle immagini con aree uniformi e con tonalità degradanti è facile incorrere nel fenomeno della "posterizzazione" (strati visibili).
Il particolare della foto precedente mostra meglio il problema della posterizzazione, in aggiunta abbiamo anche un notevole "aliasing" (scalettatura) dovuta anch’essa alla compressione jpg.
Per i "pellicolari" poi, udite udite! Quando si acquisisce allo scanner una diapositiva si ha a che fare con la grana della pellicola, il rumore digitale dello scanner e magari pure con la sospensione in acque non limpidissime. Inoltre, se vengono acquisite, come si consiglia analogamente alle riprese con macchine digitali, in maniera completamente "flat", cioè priva di regolazioni precostituite, si noterà anche una certa morbidezza non sempre gradevole: bene, rimbocchiamoci le maniche e, dopo un po’ di esperimenti vedremo apparire immagini che nemmeno immaginavamo e rivaluteremo persino diapositive scartate. A proposito: non le avrete mica buttate?
Questo è il risultato della acquisizione allo scanner di una diapositiva.
Particolare della precedente: vediamo nel riquadro l’anteprima del Plug-in Neat Image e nel resto dell’immagine il rumore digitale e la grana della pellicola.
Ringraziamo Fabio per questo articolo e vi invitiamo a visitare il sito:
Fabio Carnovale www.fotoevita.net
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