Autore: Marco Tonacci
Nell’Aprile del 1988 il Comandante Jacques Cousteau con la sua equipe navigavano nelle acque del Borneo malese, quando approdarono all’isola di Sipadan. Durante un’immersione, videro uscire da un’apertura nella roccia, una tartaruga di mare e poi un’altra ancora. Incuriositi si infilarono nell’anfratto e si trovarono all’interno di una grande grotta. Nuotarono per alcuni metri fino a raggiungere un tunnel che imboccarono percorrendolo per venti metri circa; alla fine del tunnel si aprì una seconda grotta. Fu allora che si trovarono di fronte ad una scena spettrale: una tartaruga galleggiava immobile con il carapace a contatto con il soffitto, gli occhi spalancati e lo sguardo vuoto; era morta da poco ed il suo corpo conteneva ancora troppa aria per far sì che toccasse per sempre il fondo sottostante. I sub penetrarono sempre più nella grotta e scoprirono un’altra tartaruga anch’essa morta da poco. Fu però quando illuminarono il fondo che si trovarono di fronte ad una sorpresa ancora più grande: il pavimento era ricoperto di scheletri di tartarughe; ce ne erano a decine alcuni dei quali talmente irriconoscibili a testimonianza del fatto che questo fenomeno accadeva ormai da molti anni. Finito il tempo a loro disposizione i sub fecero ritorno verso l’uscita. Pochi metri prima di trovarsi fuori, incontrarono una giovane tartaruga che stava per penetrare all’interno della grotta e l’aiutarono a cambiare direzione evitandole probabilmente di andare incontro ad un destino poco fortunato. Giunti in superficie raccontarono al comandante Cousteau ed al biologo a bordo della Calypso ciò che avevano appena visto sott’acqua. Decisero di tornare nella grotta per approfondire l’argomento e cercare di capire perché questi rettili marini andassero a morire lì dentro. Dopo una serie di immersioni giunsero alla conclusione che le tartarughe entravano nella caverna inconsapevoli del fatto che non ci fosse una seconda uscita e che nel momento in cui dovevano risalire in superficie per respirare, si trovavano intrappolate nei meandri della grotta morendo inevitabilmente soffocate.
Era il 1998 quando guardai il video di Cousteau per la prima volta; ricordo che questa storia mi colpì sin da subito e la passione per le immersioni ed in particolare per l’esplorazione delle grotte marine mi portò a fantasticare su quali possibili alternative ci potessero essere dietro la morte di questi animali: se il loro triste destino era legato alla difficoltà di uscire in tempo da quella grotta, perché nelle migliaia di anfratti esistenti nei mari di tutto il mondo, frequentati dalle tartarughe ed esplorati dall’uomo, tutto questo non accadeva? Perché negli anni successivi all’interno della grotta di Sipadan fu trovato lo scheletro di una tartaruga proveniente dalle Hawaii? Esisteva realmente un “cimitero delle tartarughe”?
Il fascino legato a questo mistero crebbe in me nel corso degli anni e mi ripromisi che un giorno sarei riuscito ad entrare in quella caverna…
Agosto 2008, sono seduto al tavolo nel ristorante del Mabul Island Resort ed a circa 8 miglia di distanza si staglia nitidamente la silhouette dell’isola di Sipadan. Sono qui da tre giorni e le immersioni fatte finora si sono rivelate stupende come da programma; siamo andati già due volte a Sipadan ed il drop-off non ha deluso le aspettative, così come il Barracuda Point. Ma domani sarà il grande giorno. L’attesa degli anni passati mi fa gustare ancora di più questo momento.
Affisse ad una parete del ristorante ci sono le lavagne su cui quotidianamente vengono scritti i programmi per le uscite delle barche, con i nomi dei subacquei presenti nel resort. Da due giorni accanto al mio nome ed a quello di Davide, un bravissimo sub italiano con la passione per la fotografia subacquea, c’è la dicitura “CAVE”. David è l’istruttore che ci accompagnerà domani. Occhi a mandorla, viso rotondo con un modo di fare austero ma rassicurante. Ci ha fatto riunire alle 18.00 per un briefing prima dell’immersione. Ci spiega che raggiungeremo il tunnel che porta nella seconda grotta, respirando una miscela nitrox da una bombola montata sul fianco che lasceremo all’entrata del tunnel stesso; dopodichè respireremo aria dalla bombola in spalla caricata a 200 atmosfere e dovremo tornare alle stazioni nitrox con almeno 130 atmosfere nelle nostre bombole; non potremo toccare assolutamente (e giustamente!) nulla e ci concederà la possibilità di scattare le foto da diverse angolature, ma sotto la sua stretta sorveglianza: queste condizioni sono tassative e se uno di noi non dovesse rispettarle, l’intera immersione verrebbe interrotta. Successivamente ci mostra un video girato in grotta in cui le immagini sono rese ancor più drammatiche dall’illuminazione di un faro spot nelle mani di un secondo sub mentre, in sottofondo, una musica ricca di suspense fa da contorno al filmato. Terminato il video ci guarda dicendo:
– “Allora, siete sempre disposti a scendere in quella grotta?”
– “Certo, perché ce lo chiedi?” gli rispondo
– “Perché ogni volta che faccio vedere questo video, il 60% delle persone rinuncia!” replica sorridente.
– “Sai Dave, uno dei motivi per cui ho fatto questo viaggio, è legato al desiderio di andare in quella grotta!”
-“ Ho capito, voi fate parte del restante 40%. Allora si parte domani mattina alle 5.30”.
E’ fatta, mi dissi, tra poche ore entrerò anch’io nella Turtle Cavern!
La mattina dopo, la barca ci aspetta puntuale al molo. Partiamo. Il mare calmo ed il cielo stellato, sono promettenti presagi di una splendida giornata. Dopo circa trenta minuti, raggiungiamo il molo di Sipadan ed il sole inizia a spuntare all’orizzonte. Christina, la Divemaster, scende a terra per espletare le formalità d’accesso all’isola, con le guardie presenti sul molo. Ogni giorno possono immergersi in queste acque, pagando una tassa di circa 8 euro, solo 200 subacquei, anche se questo numero è a discrezione dei soldati di turno: una volta ho visto tornare indietro una barca con sei sub a bordo e per di più alle 6.00 del mattino, quando l’isola era ancora vuota!
Christina torna sorridente a bordo, confermandoci che è tutto a posto per i permessi. La nostra immersione è prevista per le 8.30 poiché David scenderà in grotta con una coppia di italiani prima di noi. So che sono bravi, ma le nostre raccomandazioni perchè non sollevino sospensione lì sotto, si interrompono solo qualche istante prima che si tuffino dalla barca! La nostra prima immersione, invece, è a Barracuda Point, partendo dal drop-off. Appena sott’acqua un branco di pesci pappagallo dal corno ci accoglie numeroso, mentre alcuni squali pinna bianca sono ancora attivamente in caccia; non tarda ad arrivare neanche l’immenso branco di barracuda che disegna vortici fantasiosi nel blu, mentre una grossa tartaruga sonnecchia tra i coralli: un vero paradiso, ma la mente torna alla grotta e continuo a guardare l’orologio come se così facendo il tempo passasse più in fretta!
Usciti dall’acqua, facciamo colazione sulla spiaggia di Sipadan con caffè, cioccolato caldo e per i più affamati, uova e tramezzini. Il sole ancora tiepido e l’acqua calda completano il quadretto tropicale.
8.20. E’ ora. David ci chiama in raccolta sulla barca. Ho centinaia di immersioni sulle spalle, eppure in questo momento mi sento emozionato come uno scolaretto al suo primo giorno di scuola; l’unica differenza è che qui non vedo l’ora di tuffarmi in acqua!…
Raggiunto il punto d’immersione, David si raccomanda per l’ennesima volta con noi riguardo le regole da rispettare, prima di effettuare all’unisono la capovolta in acqua. Ci assicura con gesti esperti le bombole nitrox sul fianco, dalle quali iniziamo a respirare la miscela arricchita di ossigeno, scendendo velocemente verso il fondo. -18. Ecco l’ingresso! E’ identico a come l’ho visto decine di volte nel filmato di Cousteau tranne per un piccolo particolare: un cartello affisso all’entrata legato da sei cavi si mostra davanti a noi per ricordarci che in quella grotta si può morire e qualcuno l’ha già fatto! Scattiamo le foto di rito, facciamo un ultimo controllo alle nostre luci, e ci avviamo all’interno. Il buio ci avvolge sin dai primi metri, mentre alle nostre spalle il blu intenso dell’entrata, diventa sempre meno visibile. Dovremo pinneggiare per circa 80 metri prima di raggiungere il tunnel e toglierci le bombole di riserva. Le sensazioni sono forti: penso all’emozione che provò l’equipe di Cousteau nel penetrare per la prima volta in questi anfratti andando incontro all’ignoto…
Ci siamo! David fa cenno di fermarci e aiutandoci a togliere le bombole, chiude i rubinetti e le assicura ad una roccia con una sagola. Da questo momento in poi faremo affidamento sul monobombola da 12 litri sulle nostre spalle (so che qualche bravo speleosub storcerà la bocca!). David lega un’estremità della sagola del mulinello ad uno sperone di roccia ed inizia a srotolarlo facendoci strada nel tunnel; dobbiamo percorrere altri venti metri in fila indiana prima di arrivare nella seconda grotta, ed io faccio da “fanalino di coda”. Mi volto per un’ultima occhiata nel buio alle mie spalle prima di seguire i miei compagni. Ogni volta che entro in una grotta sommersa, mi sento protetto dalle sue pareti, provando una strana sensazione di benessere. Mi torna in mente quanto detto in superficie da David riguardo il consumo d’aria e, visto che la profondità non ha un grosso sbalzo di variazione, inizio a fare delle lunghe apnee per risparmiare più aria possibile. Alla fine del tunnel sbuchiamo nella seconda grotta: il soffitto è più basso rispetto a quella che ci siamo appena lasciati alle spalle e sulla nostra destra c’è una grossa roccia dove David lega l’altra estremità della sagola. Proseguiamo lasciandoci come riferimento la parete della grotta sul lato destro. David è a sei metri da me, quando vedo che agita il suo faro verso di noi e poi verso il basso. Eccolo! Lo scheletro del carapace di una tartaruga giace sul fondo e, pochi centimetri più in là il teschio quasi intatto ci guarda con la bocca spalancata quasi a voler lasciare impresso per sempre il suo ultimo respiro! E’ incredibile come in questo istante, mi venga in mente un pensiero che ancora non era affiorato nella testa: ogni giorno decine di subacquei come noi “profanano” questo cimitero per il gusto di guardare questi poveri animali morti. Ma non è così. C’è di più. C’è il fatto che questa grotta conserva un mistero e la voglia di scoprirlo supera qualsiasi altro sentimento.
Ci fermiamo a scattare le foto e vorrei che la scheda di memoria della macchina fotografica fosse in grado di registrare oltre le immagini anche le sensazioni per poterle condividere in futuro con gli altri. Provo l’impulso di voler restare da solo davanti allo scheletro, così aspetto che David e Davide si allontanino alla ricerca del successivo. Fisso per qualche istante i poveri resti della tartaruga immobile davanti a me come se così facendo riuscissi a trovare le risposte alle mie domande..
I miei compagni sono fermi davanti ad un altro scheletro con il carapace quasi intatto. Una corvina rossa ci passa accanto come a voler ricordare che questa grotta concede paradossalmente anche la possibilità di vivere al suo interno.
“Quante sono le tartarughe morte lì dentro?” chiesi a David il giorno prima.
“Centinaia” rispose laconico.
Ed effettivamente la quantità di ossa più o meno ben conservate che abbiamo davanti in questo momento danno l’idea di cosa volesse dire David.
Proseguendo la nostra esplorazione, passiamo sotto una finissima “cascata” di sabbia: la grotta è formata da corallo poroso, e la sabbia filtra attraverso i pori creando questo strano fenomeno; fa un certo effetto pensare che sopra di noi c’è la spiaggia dell’isola di Sipadan!. Giriamo a destra e percorrendo pochi metri, una stretta apertura si staglia nel mare aperto. Il blu intenso dell’acqua penetrando violentemente nell’oscurità della grotta, crea un effetto surreale. Lo scheletro di una tartaruga appena sotto di noi, lascia pensare che, vedendo la luce si sia illusa di essere scampata al pericolo provando ad uscire inutilmente da questa apertura.
Siamo a metà precorso e ci fermiamo per controllare la quantità di aria nelle nostre bombole: ho consumato poco meno di 30 atmosfere e mancano circa 100 metri all’imboccatura del tunnel. Le mie apnee funzionano!
Nel tragitto di ritorno David ci mostra un’altra stranezza: lo scheletro di un delfino giace appoggiato su un piano. Come ha fatto questo mammifero a spingersi così all’interno della grotta e perché? La sua presenza potrebbe avvalorare l’ipotesi per la quale gli animali che entrano nella grotta si perdano morendo soffocati.
Ancora perplesso, raggiungo insieme agli altri l’imboccatura del tunnel. David recupera il mulinello e mi fa cenno di proseguire per primo come accordato nel briefing del giorno precedente. Seguendo la sagola percorriamo nuovamente il tunnel alla fine del quale ci aspettano le bombole nitrox. Il mio manometro segna 140 atmosfere e David con uno sguardo tra l’interrogativo e lo stupito, rinuncia ad attaccarmi la bombola di riserva… Tolto il nodo alla sagola del mulinello, David prosegue in testa al gruppo e quando intravediamo l’uscita della grotta, si siede su una roccia, mettendosi di spalle all’apertura e ci fa segno di fare altrettanto. Spegniamo le luci e restiamo nel buio totale, ma solo per qualche secondo: ad un tratto si accendono decine di minuscole luci bianche che si muovono confusamente davanti a noi: Light Fish, le lucciole di mare! Non ne avevo mai viste così tante. E’ un momento magico e David ce lo lascia gustare per qualche minuto ancora.
Il tempo passa inesorabile e dobbiamo avviarci verso l’uscita; all’ esterno, risalendo pochi metri al di sopra della grotta un grossa tartaruga dorme tranquilla su un piano nella roccia. Non sa a quale pericolo è scampata finora e spero non voglia mai scoprirlo!
Dopo 75 minuti di immersione, risaliamo in superficie. La barca ci aspetta; provo sensazioni confuse e contrastanti: mi sento euforico ma allo stesso tempo triste pensando a quell’immenso cimitero subacqueo.
“David perché secondo te le tartarughe muoiono in quella grotta?” gli domando.
“Come in Africa esiste il cimitero degli elefanti, qui a Sipadan c’è quello delle tartarughe!” risponde.
Ad un tratto mi rendo conto che non ho più voglia di scoprire quale sia la vera ragione legata a questo fenomeno; preferisco pensare che anche il mare abbia il diritto ed il potere di conservare i suoi segreti. E’ per questo motivo che continuerò ad esplorare i fondali ogni volta con la stessa passione del giorno in cui mi immersi per la prima volta.
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