Intervista a Christian Redl. Apneista professionista incontrato durante una crociera a Isla Guadalupe (Messico).
Ciao Christian, benvenuto su Scubaportal.
Toglimi una curiosità: “come fa una persona nata e cresciuta in Austria a diventare un campione di apnea? Come ti è venuta questa idea?”
Beh, come spesso accade, le idee migliori ti vengono quando sei bambino, o comunque molto giovane. Nel mio caso avevo sei anni quando mio zio, che peraltro è l’unico subacqueo della famiglia, mi regalò un paio di pinne, una maschera e uno snorkel per Natale. L’estate successiva mi portò ad un lago vicino a Vienna e, mentre lui faceva immersioni, io mi sono avvicinato per la prima volta allo snorkeling. Soltanto che lo vedevo lì sotto e avevo voglia di raggiungerlo. Il risultato fu che trascorsi più tempo sott’acqua che non in superficie. Negli anni a venire mi sono iscritto al mio primo corso di subacquea e a quello ne sono seguiti molti altri. Ma la vera passione per l’apnea è iniziata quando avevo diciassette anni. Ricordo che vidi al cinema “Le grand bleu”, la storia della rivalità tra Enzo Maiorca e Jacques Mayol. Quando tornai a casa comunicai alla mia famiglia che volevo lasciare la scuola e diventare un apneista professionista. O meglio, quello che gli dissi fu che volevo diventare come Enzo Maiorca.
Come mai proprio Maiorca e non Mayol?
Semplice. Perché Maiorca era il più “cool” del film. Insomma, come potrai immaginare la mia famiglia non fu particolarmente felice di questa mia decisione e la mia carriera di apneista inizialmente si limitò ad un puro e semplice hobby. La verità è che iniziai a lavorare in banca, ma continuai ad allenarmi e a coltivare questa mia passione. Da lì a un paio d’anni – avrò avuto sui diciannove / vent’anni – iniziai a prendere parte a competizioni vere e proprie. Insomma lavoravo in banca, ma il mio obbiettivo era molto chiaro nella mia mente. Nel 1996 incontrai Umberto Pellizzari a Nizza, durante un campionato del mondo. Quell’incontro fu per me fondamentale e decisi definitivamente, e senza ombra di dubbio, che dovevo diventare un professionista. Allo stesso tempo, però, dovetti essere realista. Quando arrivi secondo, di fatto sei il primo dei perdenti e nessuno è interessato a sponsorizzare chi non vince. La verità è che lavorando a tempo pieno in banca non riuscivo materialmente ad allenarmi per quel tipo di competizioni, anche solo per il fatto che il mare era troppo lontano e che raggiungere grandi profondità in lago è molto più difficile che non in mare. La temperatura lì non aiuta per niente. Però sapevo che avrei battuto qualche record del mondo. Era solo questione di riuscire a combinare la vita di tutti i giorni con la mia passione per l’apnea.
Quindi hai dovuto elaborare una nuova strategia…
Esatto. Ho iniziato a pensare a quali specialità mi avrebbero consentito di allenarmi, compatibilmente con la mia vita di tutti i giorni. Da lunedì a venerdì ero in banca, mentre il sabato e la domenica insegnavo apnea nella mia scuola. Era una situazione frustrante. L’idea mi si presentò alcuni anni dopo quando un Italiano, Nicola Brischigiaro, battè il record di apnea lineare sotto i ghiacci. Quella era una specialità da lago, quindi perfetta per me. Decisi quindi di dedicarmi a quella specialità e di battere quel record del mondo. Ci riuscii nel 2003. Quello fu il primo, ma in totale ne ho collezionati nove.
Tutti di immersione lineare sotto i ghiacci?
In realtà no. Alcuni sono relativi ad immersioni in grotta. Nei cenotes del Messico in particolare, ma ho anche fatto altri record di immersioni in zone polari e in altura, in Nepal, ad oltre 5000 metri di quota.
Ma cosa ti ha spinto a metterti in gioco in quel modo? In fondo sono tutte attività piuttosto pericolose..
Beh, inizialmente l’ho fatto per sfida personale e per dimostrare di poter essere il migliore. Poi, con il passare del tempo, ho realizzato di dover fare qualcosa di più e soprattutto di utile. Di conseguenza ogni mio tentativo di stabilire un nuovo record era affiancato a qualche altro progetto. Nel caso del Nepal, ad esempio, sono stato monitorato tutto il tempo da uno staff medico che, detto in maniera semplificata, ha realizzato uno studio per comprendere l’effetto dell’altitudine sull’assorbimento dell’ossigeno da parte del corpo umano. Cose così, insomma.
Quindi è cambiato il tuo modo di vivere l’apnea. E’ diventata una sorta di strumento al servizio degli altri..
In un certo senso sì, ma negli ultimi anni sono andato incontro ad una sorta di evoluzione personale. L’apnea per me è diventata uno strumento per connettermi con la natura e con gli animali acquatici. D’altra parte, se ci pensi, è molto diversa dall’immersione subacquea tradizionale. Nel secondo caso respiri dell’aria compressa e il rumore delle bolle ti disconnette da quell’ambiente fatto di silenzio assoluto.
E qui inizi a pensare agli squali. Giusto?
Non esattamente. Quella degli squali è una storia strana. Ho incontrato il tuo “capo” Erich Ritter molti anni fa al Boot di Dusseldorf. Quando ci siamo conosciuti, lui mi ha subito proposto di collaborare, mettendo insieme le mie e le sue competenze. Per un lungo periodo però sono stato titubante.
Come mai?
Non saprei. Mi sembrava una cosa strana. Immergersi in mezzo agli squali senza alcun tipo di protezione non mi pareva un’idea sensata. Più che altro non avevo mai preso in considerazione la cosa e non sapevo bene cosa aspettarmi.
Finché ti sei convinto..
Più che altro un anno Erich mi ha diplomaticamente comunicato: “adesso lo facciamo. Vieni con me alle Bahamas, a Grand Cay, e vedrai che l’apnea insieme agli squali sarà un’esperienza pazzesca. Tu pensa a prenotare il volo, dopodiché se in una settimana ti convinco bene, viceversa amici come prima”. E così abbiamo fatto. Era il 2013.
E com’è andata?
Il primo tuffo è stato un fallimento totale. Mi sono buttato in acqua con la macchina fotografica e dopo un’ora sono risalito sulla barca completamente sconfortato. Mi ricordo di aver detto a Erich: “vedi? Questa cosa non funziona. Gli squali hanno paura di me. Ogni volta che mi avvicino scappano e l’unica cosa che riesco a fare è fotografarli da dietro o da un chilometro di distanza”. Al che lui mi rispose: “per forza. Stai sbagliando completamente l’approccio. Lascia l’iniziativa a loro e aspettali anziché cercare di avvicinarli”. Dopodiché mi spiegò esattamente cosa fare e, soprattutto, mi consigliò di lasciar perdere la macchina fotografica.
Funzionò?
Altroché! Il secondo tuffo fu un’esperienza indimenticabile. Ricordo che c’era questa femmina di squalo grigio che nuotava a circa cinque metri di profondità. Io ero in superficie e la guardavo mentre veniva nella mia direzione. A quel punto mi sono immerso ad una profondità leggermente superiore alla sua e ho iniziato a nuotare a pancia in su, rivolto verso la superficie e nella stessa direzione dello squalo. Quando mi ha raggiunto abbiamo percorso diversi metri in quella posizione, con la mia pancia a dieci centimetri dalla sua. Mentre nuotavo ricordo che ci siamo guardati dritti negli occhi e in quel momento, non so spiegare come, ma siamo entrati in connessione. Ho proprio sentito la forza di quell’animale e ricordo che mentre nuotavo ho iniziato a sorridere, mentre sentivo una sensazione di completezza. Poi mi sono spostato lateralmente e sono riemerso, mentre lei ha continuato ad andare per la sua strada. Vorrei riuscire a spiegarti meglio cosa ho provato, ma non so dove trovare le parole. Però posso dirti che, fino ad allora, avevo fatto migliaia di immersioni, ma quella fu l’esperienza più intensa mai vissuta in acqua. Indescrivibile. Quello è stato il mio primo vero incontro con uno squalo.
Capisco perfettamente sia la sensazione, sia di cosa stai parlando, ma la cosa curiosa è che ti sia successo immediatamente. Solitamente le persone all’inizio sono un po’ nervose in presenza degli squali e loro lo percepiscono..
Sì infatti. Io però mi sono sentito completamente a mio agio e, secondo me, lei ha capito che non volevo farle del male. Altrimenti non mi avrebbe mai permesso di avvicinarmi così tanto. Comunque questa è stata la mia prima esperienza con uno squalo… il primo giorno della settimana.. e pensare che non volevo neanche andarci a Grand Cay.
Quindi la tua collaborazione con SharkSchool parte da quell’esperienza?
Esatto. In effetti quando sono riemerso Erich, che ha assistito alla scena, ha visto che avevo un sorriso da orecchio ad orecchio e mi ha detto che è stata una delle migliori interazioni a cui avesse mai assistito. Da allora, viaggio con lui quattro o cinque volte all’anno e accompagno gruppi di apneisti a vivere quel tipo di esperienza. Io insegno loro come migliorare la tecnica, mentre Erich si occupa della componente interazione con gli squali. E’ un’esperienza bellissima che mi sento di consigliare a chiunque ami l’una e l’altra cosa.
In realtà i gruppi che vanno a Grand Cay sono misti. Ci sono anche subacquei tradizionali..
Sì infatti e per noi apneisti è molto divertente stare a guardare cosa succede. Di solito, mentre noi siamo in superficie e guardiamo in basso ci accorgiamo di un sacco di cose che i sub non vedono.
Ad esempio?
La cosa tipica è che il sub se ne sta inginocchiato sul fondale con la macchina fotografica in mano aspettando uno squalo, ma non si rende conto che magari ne ha due che gli stanno nuotando a tre metri dalle sue spalle…
Sì è vero. Infatti bisogna girarsi spesso, ma la verità è che non tutti sono in grado di immergersi in apnea..
In realtà non c’è bisogno di essere me o Gianluca Genoni per fare apnea. Chiunque può facilmente immergersi a cinque metri e rimanerci per trenta secondi o un minuto senza problemi. Ai miei allievi dico sempre che se sono in grado di trattenere il respiro per un minuto e mezzo, nel giro di mezza giornata posso portare il loro limite a tre minuti. Devono solo sapere cosa fare e come farlo. E’ una questione di respirazione prima del tuffo, di rilassamento durante l’immersione e di gestione della fame d’aria. E’ più facile a farsi che a dirsi, comunque.
Christian, so che stai lavorando ad un progetto piuttosto ambizioso. Un film-documentario, giusto?
Esatto. L’idea in realtà ha preso forma un bel po’ di tempo fa. Sono sempre stato affascinato dagli squali e da quando ho iniziato a collaborare con Erich lo sono ancora di più. Sta di fatto che ad un certo punto ho iniziato a pensare che sarebbe stato bello, oltre che utile, riuscire a girare un film documentario che potesse far conoscere la vera natura di questi animali alle persone. In Austria per ovvii motivi di squali non ne abbiamo, ma soffriremmo anche noi le conseguenze della loro scomparsa dagli oceani. E’ paradossale, ma sai benissimo anche tu che è così.
In effetti è un meccanismo strano, ma ne risentiremmo tutti, anche chi abita a migliaia di chilometri dal mare…
Appunto. Il problema è trovare le risorse per un progetto di questo tipo. Ho provato a contattare diverse case di produzione, ma la risposta è sempre stata più o meno la stessa: “interessante, ma troppo dispendioso”. In effetti è così. Girare un documentario sulla terra ferma è una cosa, ma sott’acqua è un’altra. La logistica è più problematica e i costi sono di una certa importanza.
Quindi niente finanziamenti da parte loro…
Purtroppo no. Però qualche tempo fa ho incontrato Wolfgang, un cantante professionista molto popolare qui in Austria e con una notevole copertura mediatica. Parlando con lui ho scoperto che siamo completamente allineati in termini di obbiettivi. Anche per lui il fatto di essere conosciuti e di poter quindi raggiungere molte persone è una responsabilità. L’utilizzo della propria fama, passami il termine, per fare qualcosa di utile è una specie di dovere morale e così abbiamo iniziato il nostro progetto. A questo punto ci mancava ancora qualcosa e cioè qualcuno del settore cinematografico che avesse le competenze per girare un film di questo tipo.
Stai parlando di un regista immagino
Sì qualcuno che sapesse cosa c’era da fare dal punto di vista tecnico. Devi sapere che Wolfgang è molto amico di un attore molto famoso qui in Austria. Si chiama Serge Falck. Lo ha corteggiato per un anno, finché Serge ha capito quanto un progetto di questo genere possa essere importante per la salvaguardia dell’ambiente marino. Attraverso Serge siamo poi arrivati ad un regista, ad una casa di produzione e ora il team è al completo.
Quale sarà il titolo del documentario? Avete già deciso?
Per ora il titolo è Shark Rescue, ma non siamo ancora certi sia quello definitivo.
Insomma, si tratterà di un film-documentario sulla conservazione degli squali. Qualcosa di simile a Sharkwater?
In verità no. O meglio: analogamente a Sharkwater l’obbiettivo è quello di portare a conoscenza del grande pubblico il problema della conservazione degli squali, ma Shark rescue sarà qualcosa di più propositivo. Inoltre, mentre in Sharkwater la storia ruotava attorno a Rob Stewart, nel nostro documentario saranno gli squali i veri protagonisti. In una prima parte del film cercheremo di cambiare il modo in cui le persone vedono questi animali. Stiamo girando ore di filmati mentre ci immergiamo con le più svariate specie di squalo. Erich sta dando un grande contributo per questa parte. Nella seconda parte parleremo del problema della pesca intensiva, concentrandoci non solo sull’oriente, ma anche sull’Europa. Altrimenti è difficile che un Austriaco piuttosto che un Italiano si sentano coinvolti. Nell’ultima parte, invece, proporremo delle soluzioni concrete per porre un freno a questo fenomeno.
Credo che quest’ultimo punto sia importantissimo. Va bene mettere in risalto il problema, ma proporre delle soluzioni è fondamentale perché si ottengano effettivamente dei risultati concreti.
Infatti. Viceversa l’intero progetto sarebbe solo uno strumento informativo e, quindi, meno efficace.
A che punto siete della produzione?
Abbiamo già girato alcune parti alle Bahamas, in Austria, California e ora ci stiamo lavorando qui a Guadalupe. Fino ad ora i fondi li abbiamo letteralmente tirati fuori dalle nostre tasche, ma per le prossime tappe che toccheranno Spagna, Italia, Sudafrica e altri paesi, per non parlare della post produzione, avremo bisogno dell’aiuto di tutti.
Come pensate di riuscire a mettere insieme il budget necessario?
Stiamo utilizzando il crowdfunding. Chiunque può dare il proprio contributo. Anche pochi euro moltiplicati per migliaia di donazioni faranno la differenza tra il fallimento e il successo di questo progetto. Peraltro, attraverso le donazioni è possibile diventare parte integrante del progetto, ricevendo in cambio dei premi messi in palio da grossi sponsor, avendo il proprio nome nei titoli di coda, o il logo della propria azienda in quelli di testa…
Fantastico! Deve essere emozionante vedere il proprio nome scorrere sul grande schermo… Ho ancora una domanda. Quanto pensi sarà utile il progetto? Voglio dire, spesso si producono documentari per sensibilizzare ad un problema, ma poi all’atto pratico i risultati non sempre sono quelli sperati.
Beh, ci sono esempi che ci fanno ben sperare. Quando molte migliaia di persone si mobilitano e quando il messaggio arriva a personaggi chiave, allora le cose cambiano. Qualche tempo fa, ad esempio, un documentario sulla salvaguardia degli squali girato in Polinesia ha fatto sì che quelle acque territoriali venissero adibite a “santuario” dove ora ne è vietata totalmente la pesca. Quella zona è una delle più grandi del mondo dove gli squali possono finalmente nuotare in santa pace. Se con Shark Rescue riusciremo ad ottenere qualcosa di simile, allora sarà stato un successo enorme e sarà valso tutti gli sforzi e il lavoro che stiamo facendo.
Bene. Allora teniamo le dita incrociate. Vi auguro di riuscire nel vostro progetto e che le persone ne comprendano l’importanza. Nel frattempo ti ringrazio per il tempo che mi hai dedicato e, soprattutto, per l’impegno tuo e di tutti coloro che stanno dando il proprio contributo affinché possiate raggiungere il vostro scopo.
Grazie a voi e a tutti coloro che ci vorranno dare una mano. Salvaguardiamo gli squali, se vogliamo che i nostri figli possano ancora godere delle bellezze del nostro pianeta.
Link diretto alla campagna Kickstarter:
https://www.kickstarter.com/projects/551904032/shark-rescue-movie?ref=nav_search