In concomitanza con l’EXPO a Milano, nello storico Palazzo Dugnani, già sede del Museo di Scienze Naturali, è stata allestita l’importante mostra “Spinosaurus: gigante perduto del Cretaceo”.
Lo Spinosauro, di taglia superiore perfino allo spielbergiano T. Rex, è ritenuto il più grande dinosauro carnivoro mai esistito. La sua dieta era esclusivamente costituita da pesci, che catturava grazie al controllo del galleggiamento favorito delle sue ossa dense e prive di cavità ed ai denti conici, adatti ad afferrare e trattenere corpi viscidi e scivolosi, che armavano il muso stretto ed allungato. Il suo territorio di “pesca” erano le calde e basse acque dolci del Nord Africa che perlustrava pagaiando con i larghi piedi muniti di artigli appiattiti. I numerosi recettori di pressione alloggiati nel muso costituivano un sonar passivo che permetteva di captare la posizione delle prede: tra queste il Mawsonia, specie estinta imparentata con l’attuale Celacanto, un “pesciolino” che poteva raggiungere i 4 metri di lunghezza e pesare tra i 500 e i 900 Kg, fedelmente ricostruito ed esposto nella mostra.
www.youtube.com/watch?v=P28uzFe5SYk
Il Mawsonia lavocati, uno tra i più grandi pesci mai esistiti, grosso celacanto d’acqua dolce vissuto da 390 a 100 milioni di anni fa, era una gradita preda dello Spinosauro e dei grandi coccodrilli che condividevano lo stesso ambiente. La sua mascella, grazie ad un particolare snodo nel cranio, poteva ruotare verso l’alto aumentando di molto l’apertura della bocca. Il lento movimento sincronizzato delle pinne carnose era simile a una camminata sul fondale dei fiumi piuttosto che a un vero e proprio nuoto. I celacanti o crossopterigi, sono una classe di pesci dotati di pinne pettorali e anali innestate su protuberanze carnose, sostenute da ossa omologhe dell’omero e del femore dei tetrapodi, e con la pinna caudale suddivisa in tre lobi con il centrale che include un prolungamento della notocorda. Presentano degli abbozzi di polmoni non funzionali e vengono ritenuti tra i più antichi vertebrati dotati di mascelle ma soprattutto i precursori degli anfibi (tetrapodi) che a loro volta originarono rettili, uccelli e mammiferi e pertanto i nostri lontanissimi progenitori con buona pace dei creazionisti.
Vissero nello stesso periodo di quando le piante iniziarono a colonizzare la terraferma e in mare si stavano espandendo le barriere coralline. Si pensava che questi pesci si fossero estinti 65 milioni di anni fa, alla fine del Cretaceo, insieme a tutti i dinosauri. Dopo la fine di questo periodo, nella documentazione fossile finora ritrovata, scompare infatti ogni traccia dei celacanti. La ragione ipotizzata per spiegare questa scomparsa è che, probabilmente, i celacanti si estinsero completamente solo nelle acque basse, costiere o dolci mentre sopravvissero nelle profondità marine. I fossili di animali depositatisi in acque profonde sono molto difficilmente portati in superficie, dove i paleontologi possono scoprirli. Entusiasmante è la sorpresa di ammirare, sullo schermo televisivo posto accanto alla perfetta riproduzione di Mawsonia, le meravigliose immagini del celacanto vivo e vegeto ripreso da Laurent Ballesta nel corso della spedizione “Gombessa” effettuata nel 2013 nel Jesser Canyon di fronte a Sodwana Beach in Sud Africa, a 70 Km dal confine con il Mozambico: un video veramente straordinario. www.youtube.com/watch?v=q_yURFPJH3I Si stima che in quel luogo sopravvivano almeno una trentina di esemplari “visibili” a circa 100/130 metri di profondità.
I celacanti possiedono un particolare tipo di scaglie cosmoidi, caratteristica esclusiva di alcuni gruppi di pesci estinti, oltre ad un apparato elettrorecettivo, denominato organo rostrale, nella parte anteriore del cranio, il quale probabilmente aiuta l’animale nell’individuazione della preda. Gli occhi del celacanto sono estremamente sensibili alla luce, grazie alla presenza del tapetum lucidum, una membrana riflettente posta dietro alla retina, su cui riflette nuovamente la luce catturata, aumentando la capacità visiva in condizioni di scarsa luminosità. La prima prova dell’esistenza di celacanti si ebbe il 22 Dicembre 1938 quando il capitano Harry Goosen comandante del peschereccio Nerita telefonò all’amica Marjorie Courtenay-Latimer, giovane ed intraprendente curatrice del museo di East London, Sudafrica, avvisandola che avevano pescato uno strano pesce blu all’altezza della foce del fiume Chalumna. La Dr.ssa Latimer, dopo aver portato il pesce al museo, si accorse che non era né in grado di classificarlo né di conservarlo perché era troppo grande per essere messo in una cella frigorifera. Decise di rivolgersi al collega professor James Leonard Brierley Smith per l’identificazione e nel frattempo lo fece imbalsamare tassidermista. Smith, finalmente, giunse al Museo e riconobbe il pesce come un celacanto, un genere noto a quel tempo solo da esemplari fossili. Successivamente raccontò di ” essere stato non meno stupito di aver visto camminare per strada un dinosauro“. La specie fu chiamata Latimeria chalumnae, in onore della scopritrice e delle acque in cui fu pescato. Venne definita la più importante scoperta naturalistica del XX secolo. Fu intrapresa una ricerca mondiale di nuovi esemplari, con un premio in denaro di 100 sterline, una somma ragguardevole per i pescatori africani dell’epoca. Quattordici anni dopo fu trovato un esemplare alle Comore e si scoprì che il pesce era noto da sempre agli indigeni locali: i pescatori dell’isola di Anjouan non riuscivano a capire perché fosse valutato tanto un pesce immangiabile come quello, da loro chiamato gombessa o mame, che ogni tanto finiva nelle loro reti per sbaglio. Possedeva scaglie così dure da essere usate come carta vetrata e secerneva un muco lassativo e poteva essere consumato solo dopo essicazione. Oggi tuttavia sono ben consci dell’importanza della scoperta e del fatto che si tratti di una specie in pericolo e, ogniqualvolta un celacanto viene pescato, subito viene ributtato in mare. Video: https://www.youtube.com/watch?v=u_F98seuWXU
Un esemplare, catturato nel 1952 dal pescatore Ahmed Hussain, fu inizialmente catalogato come una specie del tutto diversa, Malania anjounae (nome derivato da Daniel François Malan, primo ministro del Sudafrica ai tempi, e dall’isola di Anjouan), ma in seguito si scoprì che la mancanza della pinna dorsale era dovuta soltanto a un incidente. Per colmo d’ironia Malan era un creazionista, e dopo aver scoperto che il supposto antenato di tutte le forme superiori di vita terrestri era stato battezzato col suo nome, ne fu molto contrariato. Nel 1997, Arnaz e Mark Erdmann, durante la luna di miele, mentre curiosavano al mercato di Manado Tua, un’isoletta facente parte del Parco Marino di Bunaken a Sulawesi in Indonesia, si accorsero della presenza sulle bancarelle di quello che sembrava un gombessa, ma era marrone anziché blu.
Un esperto notò la foto del pesce da loro pubblicata su internet; si procedette ai test del DNA che dimostrarono che quella specie, dal nome locale Rajah laut (re del mare), non era la medesima del celacanto Africano: fu chiamata Latimeria menadoensis. Il 28 ottobre 2000, nelle acque protette dell’area di St. Lucia, in Sud Africa, i tre sommozzatori Pieter Venter, Peter Timm, e Etienne le Roux trovarono un celacanto alla profondità di 104 metri. Il 27 novembre 2000 quattro di essi (Pieter Venter, Gilbert Gunn, Christo Serfontein e Dennis Harding) trovarono 3 celacanti, dei quali uno era lungo tra 1,5 e 1,8 metri, mentre gli altri misuravano circa 1/1,2 metri. I sub riuscirono a fotografare e filmare per la prima volta questi straordinari pesci nel loro ambiente, ma una volta riemersi Dennis Harding morì a causa di un’embolia cerebrale che lo colpì nello sforzo di aiutare Christo Serfontein che aveva perso conoscenza. Fra il marzo e l’aprile del 2002, il batiscafo Jago e il gruppo di sommozzatori Fricke Dive Team insieme al documentarista francese Nicolas Hulot riuscirono a trovare nella stessa zona un gruppo di 15 celacanti, di cui una femmina incinta di diversi cuccioli stabilendo che si trattava di una specie ovovivipara come gli squali.
Al contrario di quest’ultimi, dotati di due emipeni (pinne pelviche modificate), non è stato ancora rinvenuto nessun organo riproduttore maschile. Ma la divulgazione mediatica del “fossile vivente” spetta al biologo-fotografo francese di Montpellier Laurent Ballesta, enfant prodige della subacquea (il più giovane vincitore della Palma d’Oro al Festival de l’Image Soumarine di Marsiglia e l’unico ad averne vinte tre), e realizzatore nel 2013, sotto l’egida del Museo di Storia Naturale di Parigi, di quelle straordinarie riprese che hanno fatto conoscere il celacanto in tutto il mondo. Nel corso della medesima spedizione furono prelevati campioni di DNA e venne fissato sul dorso del pesce un apparecchio per registrarne le migrazioni.
L’analisi genetica ha confermato il sospetto che i geni di L. chalumnae stiano evolvendo molto più lentamente di quanto non accada in altri organismi terrestri, verosimilmente perché questa specie vive in un ambiente, le acque profonde al largo della costa sudafricana, che è mutato pochissimo nel corso delle ultime ere geologiche. Il confronto fra il genoma del celacanto e quello di una ventina di altre specie di vertebrati ha permesso inoltre di identificare le sequenze genetiche interessate da significativi cambiamenti nel passaggio dalla vita acquatica a quella terrestre. In particolare, i ricercatori hanno scoperto numerose alterazioni a carico dei geni che controllano l’olfatto, verosimilmente per poter percepire in modo efficiente le sostanze volatili presenti nell’aria e non nell’acqua. Numerose modificazioni hanno interessato anche i geni che controllano il sistema immunitario, intervenute per rispondere ai nuovi agenti patogeni incontrati sulla terraferma. Il terzo grande cambiamento osservato riguarda il ciclo dell’urea: mentre i pesci eliminano i prodotti del catabolismo delle proteine sotto forma di ammoniaca, gli animali terrestri convertono rapidamente questa sostanza altamente tossica in urea.
La ricostruzione dell’albero filogenetico basata sul confronto con l’RNA di un altro pesce con le pinne lobate indica che il parente più prossimo di tutti i tetrapodi (e dell’homo sapiens) è Protopterus Annectens appartenente ai Dipnoi polmonati e non il “cugino”celacanto. Ma mentre il genoma del celacanto è di dimensioni paragonabili a quello dell’uomo, fra i due e tre miliardi di basi, quello di Protopterus. annectens, con i suoi 139 miliardi di basi, presenta difficoltà ancora quasi insormontabili per essere decifrato completamente. La ricerca continua.
IMMERGERSI CON IL CELACANTO? DOVE E COME
Due sono le specie di Celacanto conosciute: quella di Sulawesi in Indonesia dove staziona a profondità comprese tra i 300 ed i 400 metri, cosa che lo rende assolutamente irraggiungibile dai sub, e quella africana osservabile nel tratto di mare che va dal Kenia al Sud Africa passando per le Comore, il Mozambico ed il Madagascar ad una profondità tra i 100 e i 130 metri, potenzialmente avvicinabile con i necessari brevetti trimix ed equipaggiati con Rebretathers a circuito chiuso controllati automaticamente dal computer del tipo Cis Lunar Poseidon MK VI.
Raggiunto il luogo di immersione con l’ausilio del GPS bisogna tuffarsi e raggiungere velocemente, a causa delle forti correnti, i 100 metri di profondità in circa 2 minuti per non fallire il bersaglio; si perlustrano le varie grotte scendendo fino a 135 metri ma non superando il tempo massimo di fondo di 25/30 minuti: 6 minuti in più comportano 1 ora di decompressione in più che mediamente dura dalle 4 alle 5 ore. La primo deco stop si compie a 40 metri. La base di partenza per queste ardimentose immersioni è il TRITON DIVE LODGE www.tritondiving.co.za a SODWANA BEACH SUD AFRICA situata 1 km di fronte al Jesser Canyon dove vi sono buone possibilità di incontrare il fossile vivente.
Si calcola che siano solo una trentina i sub che abbiano visto il celacanto dal vivo. Quando la temperatura dell’acqua supera i 20°C i pesci scendono più a fondo. Comproprietario del Triton dive lodge, grande esperto trimix e pioniere di queste immersioni profonde era Peter Timm che nel 2000 vide per primo i celacanti nel loro ambiente. Si dice che abbia effettuato 300 immersioni oltre i 100 metri e 50 incontri ravvicinati con il pesce dinosauro. Mise a disposizione l’organizzazione e tutte le sue conoscenze per la buona riuscita dell’operazione “Gombessa” di Laurent Ballesta dell’Aprile–Maggio 2013. E’ sfortunatamente deceduto il 18 Giugno 2014 nel tentativo di riportare in superficie dalla profondità di 60 metri la sua compagna di immersione che aveva avuto un malore: stavano tentando di recuperare una macchina fotografica caduta in mare da una barca il giorno prima ad Unkomass.
https://www.youtube.com/watch?v=8AJm9513Jh0
Video realizzati a seguito alla spedizione Gombessa del 2013:
www.youtube.com/watch?v=6u8PG-Zmlr0 tratto da SUPERQUARK (in italiano)
https://www.youtube.com/watch?v=q_yURFPJH3I
video National Geografic per FOCUS (in italiano)
Foto Spinosauro e Mawsonia: Nanni Fontana e Anna Giamborino per Geo-Model