Sono stati aggiornati con i dati del 2016 gli Shark Attack files, curati dalla University of Florida, che ci danno lo spunto per qualche riflessione.
Gli attacchi riportati durante l’anno su scala mondiale sono 81, il che rientra nella media, dopo il record registrato nel 2015 di 98 attacchi.
Ma cosa intende lo shark attack files per attacco? 81 sono tutte le interazioni tra uomo e squalo iniziate dallo squalo, e non necessariamente concluse con un vero e proprio attacco, con morsi e ferite. In altre parole, se uno squalo urta la tavola di un surfista e si allontana senza proseguire nell’azione, questo è registrato come attacco. Non a caso abbiamo parlato di surfisti: il 58% di questi attacchi hanno infatti riguardato umani che praticavano sport con le tavole, producendo cioè rumori in superficie che sono probabilmente quelli che attraggono lo squalo.
I progressi delle cure mediche e l’educazione dei bagnanti, che sanno come comportarsi, hanno fatto sì che i casi di attacco fatali siano diminuiti nel corso degli anni. 4 le morti da squalo nel 2016, pochissime in assoluto, fanno sì che essere uccisi da uno squalo sia un evento assai meno probabile rispetto ad essere uccisi da un fulmine, da un maiale, da una mucca, dalle api.
Ricordiamo anche che molte specie di grossi squali sono a rischio di estinzione, decimati dalla riduzione del loro habitat e dalla sovrappesca. Che non è solo la pesca per le pinne, vendute sui mercati orientali a caro prezzo: l’Italia è fra i primi importatori di carne di squalo, venduta nei nostri supermercati a tranci, con nomi a volte ingannevoli per il consumatore. Che la scomparsa dei predatori di vertice mette a rischio l’esistenza di interi ecosistemi.
Foto di apertura da: http://www.telegraph.co.uk/news/2016/05/06/great-white-shark-fears-at-uk-coastal-resort/