Autore: Cesare Balzi
Sabato, 3 luglio – Durazzo, il relitto della Paganini
L’ARRIVO A DURAZZO
Alla vista della costa albanese lasciamo la cabina dove abbiamo trascorso la notte e saliamo ai ponti esterni. Nave Flaminia, dopo aver percorso la rotta Bari- Durazzo, al seguito di altri due traghetti, si appresta ora ad entrare in porto. Rivolgendo lo sguardo alle colline poco distanti e indicando un punto sul mare, commento: «Là sotto c’è il nostro primo relitto!». All’alba del 28 giugno 1940, infatti, la motonave Paganini, partita anch’essa da Bari la notte precedente, non raggiunse il porto di Durazzo, dove vi era diretta.
UNA STORIA NEL CUORE
“Il mare era mosso, molto mosso. Noi eravamo giù nella stiva. C’erano i lettini a castello e c’avevano detto di stare fermi perché il mare era mosso (…). C’era un fittacchiume incredibile, non si respirava. Mi alzai e andai sul ponte. Mi ricordo che le scale erano strette ed io che sono grosso ci passavo appena. Dopo una quindicina di minuti che ero sul ponte, la nave si inclinò e io mi ritrovai in mare”. Comincia così il racconto dell’ex alpino Aldo Piccini, classe 1919, intervistato dal prof. Daniele Finzi per il suo libro “Una storia nel cuore, l’affondamento della motonave Paganini” da cui presi spunto nel marzo 2009 per le ricerche di questo relitto. Una tragedia dimenticata dagli storici, che riveste però un’importanza notevole sia per il numero delle vittime – oltre 200, in gran parte provenienti dalla Toscana – sia per il contesto in cui si svolse. I soldati della Paganini si stavano dirigendo allora in Albania per la preparazione dell’attacco che avrebbe dovuto portare l’esercito italiano diritto a Salonicco “in ventiquattro ore”. Il libro racconta come la tragedia sia ancora viva nei ricordi della gente, che l’ha vissuta sulla propria pelle, e come le cause dell’affondamento e la sistemazione dei grandi invalidi suscitino ancora molte polemiche. La ricerca, condotta dal prof. Finzi nell’arco di tre anni tra diverse province e negli archivi di molti enti e istituti anche esteri, è anche un saggio sulle modalità con cui si effettuano le ricerche sul campo, vagliando fonti e documentazione, ricostruendo un avvenimento complesso e dalle molte implicazioni storico-politiche. Dopo aver studiato questo meticoloso lavoro, telefonai all’autore il 24 novembre 2008, per informarlo che avrei da li a poco intrapreso le ricerche del relitto al largo di Durazzo. Durante i giorni 28 e 29 marzo 2009, in seguito, svolsi immersioni su un relitto situato 5 miglia da Durazzo, appoggiato su un fondale di 35 metri, in assetto di navigazione, inclinato di 45° gradi sul fianco di sinistra ed avente la prora rivolta verso sud ovest, in direzione 210°. Al termine delle immersioni, grazie ai piani generali di costruzione della nave forniti dall’Associazione Modellisti Bolognesi all’Ammiraglio Giuseppe Celeste, Presidente dell’Associazione Amici del Museo e della Storia della Spezia, constatai che il relitto apparteneva effettivamente alla motonave Paganini.
LE IMMERSIONI
L’ingresso al porto del nostro traghetto avviene alle 9.00, con un’ora di ritardo rispetto al programma. Superiamo in una polverosa colonna i rigidi controlli doganali evitando fortunatamente la ramdomica e altrettanto complessa perquisizione antidroga, che dovrebbe prevedere, all’interno di un apposito hangar, lo sbarco dall’auto di tutto il materiale trasportato. All’uscita dal porto avviene l’incontro con amici albanesi: Igli e Arian del BLU SUB Tirana. Dopo aver ritirato soldi in moneta locale (lek) e le assicurazioni delle nostre auto per il periodo che soggiorneremo in Albania (la carta verde che rilasciano le nostre assicurazioni in rari casi coprono questo Paese), in breve tempo ci imbarchiamo nuovamente sul mezzo che abbiamo a disposizione per le immersioni all’interno della baia di Durazzo. Nei trenta minuti che ci separano dalla Paganini tengo un briefing sul contesto storico in cui ci troviamo, infatti, proprio il 28 giugno scorso ricorreva il settantesimo anniversario dell’affondamento. Arrivati sul punto e gettato il pedagno sulla verticale, Michele e io ci apprestiamo a scendere per verificare che sia effettivamente sul relitto e mettere nelle condizioni migliori il resto dei partecipanti con videocamere e macchine fotografiche. Come programmato dall’Italia, utilizziamo una miscela EAN30.
La discesa avviene così sulla prora, verifichiamo subito che il pedagno è posizionato correttamente ad una profondità di 32 metri sul relitto; la visibilità però è scarsa, tanto da confondere il ricordo che avevo delle immersioni di oltre un anno fa. Dopo le due stive di prora, non ritroviamo il fronte del castello con il ponte di comando, ma al suo posto vi è ora un ammasso di lamiere. La cosa effettivamente è insolita. Penso tra me che deve essere successo qualcosa, o la struttura che si alzava di 5/6 metri è ceduta o forse peggio, come mi confermeranno i locali, devono aver pescato sul relitto con dinamite, come purtroppo ancora qui si usa fare. Decidiamo al termine dei 30 minuti di risalire in superficie per riferire le condizioni trovate. Dopo un intervallo di superficie di un’ora, decidiamo di svolgere l’immersione per la documentazione fotografica. Michele e io ci preoccupiamo di sagolare il relitto da prora a poppa, Alessandro e Mauro raccolgono immagini fotografiche, mentre Igli e Arian fanno riprese video con la loro telecamera. Trascorriamo un tempo di 43 minuti ad una profondità massima di 34.5 metri. Nella seconda immersione la visibilità è notevolmente migliorata e riusciamo a percorrere tutto il relitto fino a raggiungere la poppa, l’ultima parte della nave, come dimostrano le fotografie, che scomparve al termine dell’affondamento. Una signora commossa, al termine della proiezione delle prime immagini che proiettai oltre un anno fa ai congiunti delle vittime presso la sala del Consiglio Provinciale di Firenze, mi disse: «Mio padre mi raccontò di essersi salvato poiché corse a poppa, nel punto più alto della nave». Il mio sguardo va alla coperta di legno ancora intatta e con una nota di tristezza penso: «Quel soldato… doveva essere qui».
PARTENZA PER VALONA
Rientrati in porto a Durazzo, costipiamo nuovamente le auto. Dopo un alquanto singolare, ma nemmeno troppo sorprendente passaggio con le auto su un bagnasciuga, tra bagnanti, lettini ed ombrelloni, raggiungiamo un ristorante tipico sulla spiaggia. Al termine di un generoso pasto a base di pesce, ripartiamo alla volta di Orikum, località situata a sud della baia di Valona. Domani si riparte da qui!
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